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Il capolavoro buffo di Gioachino Rossini non ha brillato di luce propria al Teatro del Giglio |
Un Barbiere un po' cosė... |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 14 Gennaio 2024 |
LUCCA - Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini si veste di attualità, attraverso una lettura piuttosto singolare, ma non del tutto dissonante dalle intenzioni musicali e librettistiche, nell’allestimento andato in scena al Teatro del Giglio di Lucca con la firma registica di Luigi De Angelis che ha curato anche scene e luci. In un condominio stile Le Courboisier le vicende private dei protagonisti si intrecciano, più o meno casualmente, anche con quelle “della strada” evidenziando analogie e profonde differenze. È la descrizione di un luogo cosmopolita dove i vari strati della società (intesi come condizione sociale e razziale) si intrecciano creando consonanze e dissonanze in base a ciò che musica e parole in quel momento esprimono. Talvolta le situazioni proposte sono chiare e congruenti, talaltra, l’immediatezza dell’azione le rende meno istantaneamente fruibili; resta comunque il dubbio in merito alle “piccole epifanie” citate dal regista nelle sue note. Una dimensione complessiva comunque piacevole, traslata in un mondo tendenzialmente adolescenziale in cui il contrasto generazionale rappresenta una cifra molto pregnante. Il lavoro sui personaggi pare assai sviluppato ed è ammantato dai colori sgargianti dei costumi stravaganti – curati da Chiara Lagani – che si attagliano in maniera puntuale e precisa al contesto scenico. Il progetto firmato Fanny e Alexander merita comunque apprezzamento anche per il parallelo con il film Play Time di Jacques Tati, dal quale - seppur in un contesto assai diverso - prende spunto; la ricerca della poesia dell’umano è il fine ultimo per portare lo spettatore, e forse anche i protagonisti, verso una visione più umana… «al di fuori della macchina tritatutto del nostro tempo, al di fuori delle convenzioni di un mondo che perpetra il consumo dell’identico, a discapito delle espressioni genuine dei sentimenti e delle emozioni.»
Complice in tutto questo è la musica di Gioachino Rossini e la genialità del libretto di Cesare Sterbini che ci portano… «uno sguardo divertito, leggero ma al tempo stesso feroce sui tic, sugli inciampi, sulle idiosincrasie e le nevrosi del nostro quotidiano, in una giostra vorticosa destinata all’horror vacui, ma che forse ci mette a nudo di fronte a noi stessi.» Un cast variegato ha dominato la scena rossiniana con risultati alterni. Chiara Amarù è una Rosina molto convincente sotto tutti i punti di vista; la parola scenica è sempre a fuoco ed il nitore dell’emissione accompagna la sua interpretazione per tutta la serata; l’aria di sortita "Una voce poco fa", è un tripudio di colori e prodezze in cui snocciola con estrema facilità le agilità con piena omogeneità vocale. Ottimo anche il Figaro di Gurgen Baveyan che si mette in luce per spavalderia recitativa indiscussa ed un suono possente, ma al tempo stesso duttile che gli permette di enfatizzare le frasi musicali con precisione e giuste intenzioni. Dave Monaco è un Lindoro tutto sommato corretto e musicalmente preciso, ma l’emissione pressoché nasale non risulta sempre di piacevole ascolto; il colore vocale perde in brillantezza e la necessaria fluidità perde di consistenza; complessivamente vengono fuori le potenzialità di una voce che sa ben gestire ogni nota della sua estensione, ma una restituzione più nitida sarebbe di grande auspicio. Non troppo a fuoco nemmeno il Bartolo di Roberto Abbondanza che mi è parso sin da subito poco in forma; ho avuto l’impressione che la voce scontasse una certa stanchezza in quanto, in più frangenti, le note sono risultate opache ed il fraseggio poco duttile e a tratti stentoreo. Nei panni di Don Basilio, troviamo il basso Gaetano Triscari; fiero di una voce potente non teme le note più impervie, ma vacilla in quelle più gravi dove il fraseggio risulta meno curato e la parola scenica perde pregnanza. Una Berta molto irruente e dominatrice quella di Jennifer Schittino la cui fisicità imponente la mette molto in luce evidenziando appieno il ruolo “antagonista in amore” rispetto a Rosina; nella scena che le è propria, "IL vecchiotto cerca moglie", conquista il pubblico con un canto preciso e ben controllato senza scadere nell’ovvio e nel pacchiano. Nel doppio ruolo di Fiorello e Ufficiale troviamo Tommaso Corvaja che si è dimostrato piuttosto deludente almeno da un punto di vista vocale, in quanto il canto risulta poco curato e l’emissione molto acerba.
Resa poco entusiasmante anche per il Coro Arché curato e diretto dal M° Marco Bargagna. L’infelice collocazione dietro la scena non è stata di aiuto alla sua integrazione nel contesto musicale ed in parecchi momenti, oltre alle scollature ritmiche, ha fatto emergere suoni poco curati e spesso anodini. Sul podio il M° Francesco Pasqualetti, alla guida dell’Orchestra della Toscana, ha restituito poco o nulla del carattere “rossiniano” della partitura; la sua lettura è piuttosto povera di colori ed intenzioni. È mancato quel piglio brioso e frizzante che ha tolto enfasi ai “crescendo” (un finale primo quasi a tempo di metronomo) e spigliata vivacità a tutto il resto (la “Tempesta” pareva una timida pioggerellina). Anche l’intesa con il palcoscenico non è stata sempre delle migliori in quanto sono emerse scollature che hanno caratterizzato alcuni momenti della serata. Un Teatro piuttosto gremito ha reso comunque festa a tutti gli interpreti con applausi convinti e sentiti. (la recensione si riferisce alla recita del 12 gennaio 2024)
Crediti fotografici: Photo Kiwi per il Teatro del Giglio di Lucca Nella miniatura in alto: il baritono Gurgen Baveyan (Conte d'Almaviva) Al centro in sequenza: ancora Baveyan nella sua "bottega"; tutti i protagonisti insieme sul divano; e un bel primo piano per Chiara Amarù (Rosina) Sotto: visione d'assieme dell'allestimento in scena nel Teatro del Giglio
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