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L'opera di Giacomo Puccini riallestita con una creativitā ligia alle norme di prevenzione Covid-19

La Butterfly di origami e ombre

servizio di Rossana Poletti

Pubblicato il 04 Ottobre 2021

20211004_Ts_00_MadamaButterfly_FrancescoIvanCiampaTRIESTE - Alla fine dell’Ottocento in Giappone fiorirono nuovi contatti con l’Occidente che produssero un profondo mutamento nella società nipponica. Nagasaki era il principale porto del paese. Le istituzioni si modellavano a somiglianza di quelle occidentali e il sistema feudale vigente da secoli iniziava una lenta ed inesorabile dissoluzione, mentre si avviava la rivoluzione industriale e la modernizzazione. Di fatto però il cristianesimo era illegale, si rischiava la pena di morte a professarlo. A cavallo dei due secoli il Giappone era in guerra con Cina e Russia per consolidare il potere e difendere i confini e gli americani fecero i mediatori delle pacificazioni. C’è in filigrana tutto questo nella Madama Butterfly di Giacomo Puccini, ma quanto poi realmente si sapesse a quel tempo in Europa di quello che accadeva sulle isole dell’oceano Pacifico resta da capire.
Nella storia che Luigi Illica e Giuseppe Giacosa raccontano, traendo spunto dall’omonimo dramma di David Belasco, lo Zio Bonzo impersona fortemente l’arcaicità del paese, il suo radicamento alla tradizione feudale, la negazione di aprirsi al futuro, allo straniero. Difficile dargli torto se quest’ultimo è il solito americano che guarda il mondo dall’alto senza rispetto per l’ospite che l’accoglie, il solito yankee che non capisce le diversità e dissemina il mondo dei disastri a cui siamo abituati nella storia del Novecento e anche in quella più recente. Ma l’americano degli inizi del secolo breve non è l’espressione della potenza a cui facciamo riferimento oggi; la potenza americana si esplicherà soltanto con la prima guerra mondiale, che darà forza e volano di crescita all’industria degli Usa.

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Nell'opera di Puccini, l’americano Pinkerton è comunque un punto d’attrazione per la giovane e povera Cio-Cio-San. Alberto Triola, regista dello spettacolo riallestito al Teatro Verdi di Trieste, sottolinea la straordinaria giovinezza di quindicenne della protagonista, ma anche in questo caso dobbiamo far riferimento alla condizione giovanile di quell’epoca, quando nelle fabbriche dell’occidente pullulava la presenza di bambini sfruttati, e la giovane giapponese per sopravvivere aveva da tempo dovuto arrangiarsi facendo la Geisha, arte nobile certamente, ma che dimostra il suo precoce inserimento nella vita sociale.
Detto questo, il già minimalista allestimento triestino di Madama Butterfly del 2019, ripreso appunto da Alberto Triola per l’attuale fuori abbonamento del Teatro Lirico Giuseppe Verdi, assume ancor più aspetti di grande rigore e rispetto delle norme di sicurezza per l’emergenza pandemica. Rappresenta l’amore tra i due con una finzione scenica dietro un sipario da cui traspaiono le ombre amoreggianti dei due protagonisti, mentre Butterfly e Pinkerton in scena cantano a metri di distanza. Anche il bambino è raccontato attraverso una sorta di marionetta animata, costruita con la tecnica giapponese dell’origami, nel rispetto del teatro Bunraku, quasi sempre celata dietro un sipario e in trasparenza mostrata con un gioco di luci. Meno gradevole alla vista, evidenzia un diverso modo di concepire anche le marionette tra oriente e occidente. Nel finale la morte di Cio-Cio-San si palesa in un’ombra nera su fondo rosso che affila il coltello su se stessa, mentre tutta la scena vira al nero mettendo la parola fine alla tragica vicenda.
L’Orchestra del Verdi, diretta con passione da Francesco Ivan Ciampa, segue speditamente lo spettacolo attraverso i grandi balzi fragorosi e le note di inquietudine che Puccini imprime alla sua opera, nelle arie piene e nei lievi recitativi. Purtroppo l’uscita dalla buca per motivi di distanziamento impedisce in molte parti del teatro di sentire l’assieme dell’orchestra, cogliendo piuttosto i singoli strumenti a cui si è più vicini. Ma così è; e soltanto l’uscita dall’emergenza Covid-19 ci potrà far tornare alla “normalità”.
Il coro delle donne che salgono la ripida salita alla casetta, che l’americano ha preso come nido d’amore, e il coro a bocca chiusa che chiude il secondo atto, una ninna-nanna per addolcire il grave messaggio che il console Sharpless ha appena  recato alla fanciulla, sono due momenti antitetici dell’opera: il primo reca la gioia dell’amore che sta per sbocciare, la felicità dell’incontro tra Butterfly e Pinkerton, la spensieratezza della primavera fiorita; il coro a bocca chiusa segna lo svelamento del tradimento dell’americano, cerca di placare l’ansia e il dolore dell’attesa; un capolavoro, lo definiva Puccini. Bene il Coro del Verdi di Trieste, diretto da appena un mese dal nuovo direttore Paolo Longo.
La prova degli artisti in scena si può annoverare tra quelle positive nel complesso, anche se la protagonista, Evgenia Muraveva non è riuscita a convincere e strappare un applauso veramente sentito dal poco pubblico presente; capace ma poco coinvolta, non rende appieno la drammaticità del personaggio.
Più apprezzato il Pinkerton di Francesco Castoro, sbruffone e superficiale, interpreta con una bella voce e con capacità scenica l’americano.
Il baritono Elia Fabbian rappresenta con convinzione il console Sharpless, pieno di scrupoli per il comportamento del comandante Pinkerton.
Brillante e divertente l’interpretazione di Andrea Schifaudo del sensale Goro, e così anche per lo Yamadori di Dario Giorgelè. Meno incisiva sia sul piano della voce che della presenza scenica la Suzuki di Na’ama Goldman. Di grande effetto la comparsa in un palco dello Zio Bonzo, il basso Cristian Saitta, che riesce a trasmettere al palco e al pubblico lo sdegno e infliggere il terrore per la scelta di Butterfly. In scena anche Silvia Verzier (Kate Pinkerton), Giovanni Palumbo (il Commissario imperiale) e Giuliano Pelizon (l’ Ufficiale del registro).

Crediti fotografici: Fabio Parenzan per il Teatro Verdi di Trieste
Nella miniatura in alto: il direttore Francesco Ivan Ciampa
Sotto: panoramiche sull'allestimento curato da Alberto Triola






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