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In scena nel Teatro del Giglio di Lucca l'edizione scaligera 1904 dell'opera di Puccini |
Ecco la Butterfly del fiasco |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 19 Febbraio 2024 |
LUCCA – Al Teatro del Giglio approda con grande apprezzamento del pubblico la versione bresciana di Madama Butterfly di Giacomo Puccini (datata 28 maggio 1904) dopo che il clamoroso fiasco del Teatro alla Scala di qualche mese prima, indusse il compositore a rimettere le mani sulla partitura. La scelta dell’adattamento bresciano per il Teatro del Giglio è giustificata dal fatto che questo allestimento nasce proprio nella città lombarda di cui il teatro lucchese – assieme ad altre realtà – è coproduttore. Esprimo qui il mio personale punto di vista in merito alla scelta di ripescare edizioni non definitive di un’opera; se sotto l'aspetto culturale e musicologico può essere un’interessante operazione di divulgazione, mi rendo conto che io mal tollero pagine in seguito espunte dall’Autore avendole egli stesso considerate “di troppo” e prive di quel senso drammaturgico che solo la stesura finale garantisce e completa. Detto questo che, ripeto, è solo un mio pensiero, parlando dell’allestimento di cui vi do conto vorrei partire proprio dalla visione registica di Rodula Gaitanou; nelle sue note di presentazione così scrive «… Puccini in Madama Butterfly getta uno sguardo “esotico” sia sul mondo americano che su quello giapponese. La domanda che ci siamo posti quando abbiamo iniziato a lavorare è stata: come possiamo rendere viva la contrapposizione di due culture senza rafforzarne gli stereotipi? La nostra ricerca ci ha portati a un’estetica astratta che gioca sul piano della decostruzione e del simbolismo…» Ed è stato proprio così; la scena non muta nei tre atti, fissa, incorporea in cui non appaiono simboli o strutture giapponesi e americane; è come se questo mondo fosse visto da occhi europei (forse lo stesso autore?) che così si concretizza sempre secondo le parole della regista greca «… è a volte un’onda che manipola il destino di Cio-Cio-San, a volte ricorda le curve dei pendii delle montagne, di difficile accesso, dove lei stessa vive sola in isolamento, emarginata dalla società. Lo stesso approccio è pensato per quanto riguarda il gesto utilizzato – sia esso una stretta di mano o un inchino – per connotare l’invasione dello spazio personale, o per il desiderio di comunicare e di riunirsi. L’umanità diventa un veicolo di poesia visiva e di cruda potenza emotiva. Non è un segreto che la prima dell’opera alla Scala di Milano fu un fiasco. Puccini avrebbe apportato in seguito molte revisioni fino a consegnarne una quinta e ultima versione, che viene comunemente eseguita oggi. Le modifiche apportate consistono nell’ammorbidire gli aspetti più duri dello scontro culturale e nello strutturare il dramma in modo più conforme alle aspettative del pubblico…» Le scene ed i costumi - piuttosto banali - sono di Takis e all’impianto luci è Fiammetta Baldiserri. In questo contesto si inseriscono gli interpreti le cui relazioni e interazioni sono abbastanza “occidentali” e poco caratterizzate. Yasko Sato (Cio-Cio-San) si è perfettamente immedesimata nel personaggio con una vocalità sempre ben a fuoco in tutti i registri vocali. Un bel dì, vedremo diventa una pagina in cui la parola è scolpita dalle emozioni e dagli accenti drammatici con cura certosina. Molto interessante anche la prova di Asude Karayavuz nei panni della fedele Suzuki; scenicamente appagante e vocalmente centrata; emoziona intensamente nel duetto dei fiori. Nel ruolo Sir Francis Blummy Pinkerton – così si ancor si noma in questa versione bresciana - il tenore Riccardo Della Sciucca mette in luce una linea di canto omogena, ben curata nel fraseggio ed un timbro molto accattivante; l’acuto, talvolta, tende a diventare un po’ fibroso e privo di corpo, ma nel complesso la prova risulta indiscutibilmente positiva. Ottima presenza scenica e intensa interpretazione vocale caratterizzano l’impegno di Devid Cecconi (Sharpless); in questa versione il suo ruolo è ancor più valorizzato con interventi che ne delineano nettamente lo spirito paterno e amorevole affrontati con una emissione sempre ben controllata, ed estremamente efficace rispetto alla drammaturgia.
Eccellente il Goro di Giuseppe Raimondo la cui voce squilla e risuona nel teatro con piacevole nitore. Bravi, precisi musicalmente e funzionali i personaggi di fianco: Alex Martini (Il principe Yamadori), Cristina Bellantuomo (Kate Pinkerton), Fulvio Valenti (Lo zio Bonzo), Masashi Tomosugi (Yakusidé), Liu Tong (Il commissario imperiale), Mattia Rossi (L’ufficiale del registro), Daryna Shypulina (La zia), Tiziana Falco (La cugina) e Serena Pulpito (La madre). Senza dubbio positiva la prova del Coro Opera Lombardia diretto dal M° Diego Maccagnola. La bacchetta del M° Alessandro D’Agostini guida l’eccellente Orchestra I Pomeriggi Musicali riuscendo a gestire efficacemente il rapporto con il palcoscenico; l’agogica è perfettamente attagliata ad evidenziare i colori della partitura senza far mai cedere il ritmo drammaturgico con un gesto tanto composto quanto efficace. Teatro esaurito e consensi dirompenti per tutto il cast. (La recensione si riferisce alla recita di sabato 17 febbraio 2024)
Crediti fotografici: Umberto Favretto per il Teatro del Giglio di Lucca Nella miniatura in alto: il direttore Alessandro D'Agostini Sotto: foto di scena dell'allestimento
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Butterfly piccina mogliettina
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ROVIGO - Il Teatro Sociale ha inaugurato la propria stagione d'opera con l'attesa nuova produzione di Madama Butterfly coprodotta con il Teatro Verdi di Padova e il Teatro "Mario Del Monaco" di Treviso. Tutto affidato alle risorse locali venete, che vanno dal regista Filippo Tonon al direttore d'orchestra Marcello Rosa, alla costumista Carla Galleri (sarda di nascita, ma veneziana di formazione), all'Orchestra di Padova e del Veneto, al Coro Lirico Veneto istruito dal veronese Matteo Valbusa. Fin dall'aprirsi del sipario si capisce immediatamente che il regista ha la mano pratica (e convincente) per dare a Giacomo Puccini ciò che è di Puccini: fedeltà al testo dei librettisti Illica e Giacosa e rispetto di quanto il compositore lucchese aveva studiato e realizzato per la sua "opera esotica" scritta tra il 1901 e il 1904; fedeltà al punto da mettere in scena (da parte di Tonon) non l'harakiri di Cio-Cio-San
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