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Il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino combina Stravinskij con Puccini con quel che non fu in vita

Mavra e Schicchi insolito dittico

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 21 Dicembre 2024

20241221_Fi_00_Mavra-GianniSchicchi_DenisKriefFIRENZE – Gli appuntamenti con la lirica dell’anno 2024 del Teatro del Maggio Fiorentino si chiudono con un dittico tanto inusuale quanto sorprendente che ha accostato due atti unici comici, distanti per stile, cultura e linguaggio: Mavra di Igor Stravinskij e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini. Se le disavventure dei parenti di Buoso Donati sono ben note al pubblico, l’apertura della serata ha offerto un’immersione in un’atmosfera diversa con Mavra, opera buffa in un atto composta tra il 1921 e il 1922. Ispirandosi alla novella La casetta di Kolomna di Aleksandr Puškin, Stravinskij concepì l’opera durante un soggiorno a Londra, in collaborazione con l’impresario teatrale Sergej Djagilev. L’idea era creare un breve prologo alla ripresa del balletto "La bella addormentata" di Čajkovskij. La brillantezza narrativa di Puškin e il gusto per il paradosso spinsero Stravinskij ad affidare il libretto a Boris Kochno, giovane collaboratore di Djagilev.
La trama ruota attorno a Paraša, una giovane innamorata dell’ussaro Vasilij. Per stare più tempo con lui, Paraša traveste l’amato da donna e lo presenta alla madre come la nuova domestica, Mavra. Tuttavia, l’inganno viene smascherato quando Vasilij è sorpreso a radersi. La madre sviene, la vicina accorre e l’ussaro fugge dalla finestra, lasciando Paraša disperata.
Mavra debuttò a Parigi il 3 giugno 1922, ma senza successo. Nonostante Djagilev ritenesse il finale troppo semplice, Stravinskij si oppose a modificarlo, difendendo l’opera. La partitura fu dedicata a Puškin, Glinka e Čajkovskij, in aperta provocazione verso chi riduceva la musica russa al solo folklore.
L’opera richiama il melodramma italiano, con arie, duetti e quartetti, e una vocalità di ispirazione belcantistica. La scrittura orchestrale, però, è moderna, caratterizzata da influenze jazz, motivi russi e tzigani. Stravinskij crea un contrasto tra la linea vocale tradizionale e un’orchestrazione meccanica e aspra. La strumentazione, con una predominanza di fiati rispetto agli archi, richiama più le sonorità di una band che di un’orchestra classica.

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La regia, le scene e i costumi di entrambi gli spettacoli sono stati firmati da Denis Krief che ha rielaborato il lavoro svolto per il Trittico pucciniano del 2019, mentre sul podio dell’Orchestra del Maggio la solida bacchetta di Francesco Lanzillotta ha saputo restituire con eleganza la vivacità ritmica di Stravinskij e l’ironia toscana di Puccini.
L’accostamento, in apparenza ardito, ha funzionato: la leggerezza di Mavra ha fatto da preludio perfetto alla comicità irriverente di Gianni Schicchi, offrendo al pubblico una serata pre-natalizia raffinata e ricca di contrasti.
La regia di Denis Krief per questo dittico nasce da una riflessione profonda sulla distanza – e al contempo sulla sottile vicinanza – tra due compositori tanto diversi per cultura, contesto storico e sensibilità artistica. Krief stesso riconosce l’azzardo di questo accostamento, descrivendolo come una sfida teatrale. La sua visione parte dalla consapevolezza che, sebbene Stravinskij e Puccini fossero quasi contemporanei, le loro estetiche sembrano collidere più che dialogare. A tal proposito, Krief richiama un aneddoto significativo: durante un viaggio negli Stati Uniti, Dmitrij Šostakovič chiese a Stravinskij cosa pensasse di Puccini. La risposta fu netta: «Detesto la sua musica.»

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Nonostante questa divergenza dichiarata, Krief individua un punto di contatto tra Mavra (1922) e Gianni Schicchi (1918): entrambe sono opere comiche che appartengono al teatro musicale del primo Novecento, pur esprimendo leggerezze e ironie di segno opposto. Krief evita volutamente il termine opera buffa ritenendolo legato a un’epoca ormai passata. Le due opere, infatti, nascono in un periodo segnato dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale e sono figlie di un tempo che cercava nuovi linguaggi per esorcizzare il dramma attraverso la comicità.

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Puccini scrive per il Metropolitan di New York (1919), mentre Stravinskij compone per il Palais Garnier di Parigi (1922). Due palcoscenici monumentali, più avvezzi alle tragedie liriche che alle risate. Tuttavia, come Krief sottolinea con ironia, Puccini fa leva su un cadavere per strappare sorrisi: in Gianni Schicchi il corpo di Buoso Donati viene nascosto in uno sgabuzzino già nelle prime scene. Stravinskij, invece, si limita a far svenire i suoi personaggi, lasciando che il colpo di scena si consumi solo al termine di Mavra .
Entrambe le opere si svolgono in ambienti chiusi, con porte e finestre che separano gli interni dall’esterno. In Mavra l’esterno si manifesta nel desiderio sensuale di Paraša per l’ussaro che si presenta alla finestra. In Gianni Schicchi l’esterno irrompe con il suono di una campana funebre in un momento topico della vicenda, immergendola in un’atmosfera lugubre.
Krief evidenzia anche un parallelismo geografico e narrativo: Mavra si apre su una strada di San Pietroburgo dove l’ussaro puškiniano cattura lo sguardo di Paraša, mentre Gianni Schicchi si affaccia su una Firenze evocata dalle parole di Rinuccio, innamorato sognatore creato dal librettista Giovacchino Forzano. Attraverso questa lettura Krief tesse un filo invisibile tra le due opere, dimostrando che il dialogo tra Stravinskij e Puccini non si basa sulle affinità ma proprio sulle loro differenze.
Il M° Francesco Lanzillotta imprime la sua impronta inconfondibile sulla direzione di Mavra e Gianni Schicchi, affrontando con finezza e sensibilità le sfide di due partiture profondamente diverse. Il maestro penetra con acume nelle pieghe più intime delle opere, rivelandone sfumature nascoste e valorizzandone ogni dettaglio. In Mavra si muove con agilità tra le trame di una scrittura essenziale, quasi interamente affidata ai fiati; la direzione segue con precisione il ritmo incalzante della scena, conferendo energia e dinamismo alla narrazione musicale di Stravinskij. La capacità di far emergere la varietà stilistica dell'opera, dove si alternano momenti melodici e frammenti dissonanti, testimonia un’attenta lettura che unisce rigore ed espressività.
Quando la bacchetta passa a Gianni Schicchi il direttore romano si lascia trasportare da un respiro più ampio, dilatando i tempi senza perdere il mordente che caratterizza l’opera. Il tono ironico e grottesco, intriso di sfumature tipiche del teatro musicale del Novecento, emerge con forza in un’esecuzione che gioca sul contrasto tra la leggerezza comica e l’intensità drammatica. La narrazione musicale riesce così a costruire un ponte ideale tra le due opere, restituendo al pubblico una visione d’insieme coerente, capace di far dialogare la vivacità tagliente e talvolta aspra di Stravinskij con la sagace ironia di Puccini.
L’esecuzione ha inoltre brillato grazie alla straordinaria vis comica di un cast affiatato capace di attraversare con disinvoltura i toni farseschi dei due atti unici.
Julia Muzychenko ha incantato nei panni di Paraša, dando vita a un personaggio frizzante e pieno di slanci vocali luminosi uniti ad un fraseggio curato; la voce agile e cristallina ha sottolineato la spensieratezza e l’astuzia della giovane protagonista. In Gianni Schicchi, la Muzychenko è tornata in scena come Lauretta, regalando un’interpretazione delicata ed emozionante di "O mio babbino caro".
Iván Ayón Rivas, dopo aver prestato la sua energia e presenza scenica all’ussaro Vassilij in Mavra, ha dato prova di altrettanta brillantezza come Rinuccio in Gianni Schicchi. La sua voce calda e potente ha conferito al giovane fiorentino un carattere passionale e vivace, mentre il canto di "Firenze è come un albero fiorito" ha messo in luce il suo nobile fraseggio unito ad un ottimo controllo espressivo.
Kseniia Nikolaieva, nei panni de La Madre di Paraša, ha dominato la scena con una recitazione volutamente sopra le righe e una presenza imponente anche se l’intensità vocale non troppo adeguata ha reso alcune frasi quasi inudibili.
Aleksandra Meteleva ha completato il quartetto con una Vicina arguta e brillante ed una interpretazione convincente sostenuta da un’emissione solida e ben proiettata; nello Schicchi la Meteleva ha interpretato la Cesca con vivace verve.
Passando all’atto unico pucciniano, Roberto de Candia offre una performance magistrale nel ruolo eponimo, con un canto impeccabile che rimane sempre ben centrato e supportato da una recitazione che sembra uscita da un manuale di teatro; la presenza scenica poi, è dominata da una brillante ironia che riesce a dosare con astuzia e verace spontaneità.

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Il resto del cast ha offerto prestazioni di buon livello, contribuendo al successo complessivo dello spettacolo. Valentina Pernozzoli è stata una Zita solida ancorché un po’ troppo sopra le righe sia vocalmente che scenicamente, mentre Hou Yaozhou ha dato vita a un Gherardo convincente. Gonzalo Godoy Sepúlveda ha interpretato Betto di Signa con intensità, e Adriano Gramigni ha reso il personaggio di Simone molto efficacemente ben centrato sulla parola cantata. Davide Sodini ha gestito con bravura i ruoli di Maestro Spinelloccio e Ser Amantio Di Nicolao, mentre Michele Gianquinto ha ben interpretato Pinellino assieme alla buona prova di Huigang Liu come Guccio. Per finire Nikoletta Hertsak eccellente nel ruolo di Nella, e Yurii Strakhov molto efficace come Marco.
La sala non tropo gremita ha elargito applausi a tutti dimostrando un sentito gradimento.
(La recensione si riferisce alla recita del 20 dicembre 2024)

Crediti fotografici: Michele Monasta per il Maggio Musicale Fiorentino Teatro dell'Opera di Firenze
Nella miniatura in alto: il regista Denis Krief
Al centro in sequenza: foto di scena di Mavra
Sotto in sequenza: foto di scena di Gianni Schicchi
 






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