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L'Italian Opera Academy conferma il proprio impegno didattico/divulgativo grazie a Riccardo Muti

Un'Accademia per Pagliacci e Cavalleria

servizio di Attilia Tartagni

Pubblicato il 01 Agosto 2020

200801_Ra_00_Academy2020-Muti_RiccardoMuti_phZani-CasadioRAVENNA - Che poteva fare un direttore d’orchestra come il M° Riccardo Muti, acclamato nei  più prestigiosi podi del mondo, dopo una carriera ricca di soddisfazioni e di riconoscimenti internazionali, se non dedicarsi anche a trasmettere alle giovani generazioni il sapere faticosamente conquistato in anni di studio e di esperienza nella direzione d’orchestra? L’Italian Opera Academy, nata nel 2015 e dunque quest'anno alla sua sesta edizione, è il frutto di un intendimento volto non solo a tramandare una esperienza artistica (quella di Muti, appunto), ma soprattutto a liberare l’opera italiana dai fraintendimenti e dalle incrostazioni retoriche del tempo riportandola alla sua vera essenza, come specifica il sottotitolo del corso di studio: "A lezione di italianità con Riccardo Muti e il patrimonio irripetibile dell’Opera italiana".
Se non bastassero i libri che Muti ha scritto per elogiare il patrimonio operistico italiano, ci sono le mille filippiche verbali del maestro che non perde occasione per farsi paladino dell’opera, autentico prodotto culturale made in Italy, lui che ebbe fra i suoi maestri Antonino Votto che era stato allievo poi maestro collaboratore di Arturo Toscanini e dunque depositario di una preziosa eredità trasmessa dai compositori stessi. Muti è oggi l’unico in grado di ricercare sulle e fra le righe di una partitura l’essenza più autentica troppe volte fraintesa quando non addirittura  sottovalutata e vilipesa. Prendiamo le due opere tema di studio dell’Accademy 2020, Pagliacci, parole e musica di Ruggero Leoncavallo e Cavalleria rusticana , musica di Pietro Mascagni, la prima ispirata da un fatto di cronaca nera tradotto in forma poetica dallo stesso compositore, la seconda tratta da una famosa novella di Verga, due icone fondamentali, se non le principali in assoluto, del “verismo” nato come fenomeno letterario che influenzò le arti figurative e la musica lirica.

200801_Ra_01_Academy2020-Muti_GiovanniContiRiccardoMuti_phZaniCasadio 200801_Ra_02_Academy2020-Muti_CharlottePolitiRiccardoMuti_phZaniCasadio
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«Non si tratta di rappresentare una storia che abbia grande aderenza con la realtà, ma di affondare le mani nel tessuto culturale in cui queste opere sono nate e si riferiscono - ha ribadito il M° Muti durante la lectio magistralis che ha preceduto le due settimane di studio, alla quale hanno assistito anche pubblico, studenti e appassionati, perché la divulgazione dei valori della musica è pregnante per il maestro - e per capire a fondo questi titoli - ha proseguito - per cogliere l’essenza della loro drammaticità e violenza si deve conoscere l’humus culturale in cui affondano le radici, quello del sud dell’Italia: se non se ne ha coscienza si rischia di cercare di mettere in luce la loro potenza espressiva esagerandole, brutalizzandole, in una parola volgarizzandole, in nome di un’idea del tutto sbagliata e decisamente grossolana di ‘italianità’”.»
Così le due opere sono state vivisezionate da Muti con le modalità di approfondimento già usate nei confronti di Falstaff, La Traviata, Macbeth, Aida, titoli verdiani, e Le nozze di Figaro di Mozart, che italiana non è ma si ispira totalmente all’opera italiana.
Le due rappresentazioni finali di Pagliacci e Cavalleria rusticana, la prima mercoledì 29 luglio 2020 diretta dal maestro stesso (un irresistibile duplice incanto, un’apoteosi dalla magica sinergia strumentale e canora, talmente perfetta da ritenerla difficilmente ripetibile e invece è proprio questo il bello dell’opera, che essa si ripete e si ripete ancora per riuscire sempre a sorprenderti) e il 31 luglio dai novelli direttori armati degli insegnamenti impartiti dal maestro. Muti come docente non si pone in cima a un piedistallo, cerca una comunicazione autentica con ogni allievo, incidendo con le parole, con l’esempio, con aneddoti illustri e anche con battute spassose perché ha lo spirito di un napoletano verace, oggi, per via della lunga residenza a Ravenna, contaminato dallo spirito tragicomico romagnolo, contribuendo a quella costruzione progressiva che è il suo concetto di opera, una fabbrica che fonderà perfettamente gli elementi nella rappresentazione finale.
L’Academy ravennate mette a disposizione degli studenti il teatro “Alighieri”, splendido teatro di tradizione, l’Orchestra Giovanile Cherubini, a sua volta creata dal M° Muti, che, come ribadisce spesso,  «è giovane soltanto per età ma quanto a rigore esecutivo non è seconda a nessuna», e infine un cast di virtuosi cantanti: tutti insieme appassionatamente, giorno per giorno, fanno crescere quelle parti d’opera che saranno rappresentate nei concerti finali. Due settimane di lavoro che si imprimono indelebilmente negli studenti ammessi al corso, scelti fra i cinquanta selezionati delle domande arrivate da tutto il mondo, ma quest’anno necessariamente tutti italiani a causa del Covid-19.
Il M° Muti ha ribadito anche durante la consegna degli attestati nella serata conclusiva del 31 luglio l’importanza del maestro collaboratore, figura chiave nella preparazione dell’opera lirica a cui appartengono cinque dei licenziati di quest’anno, Giorgia Duranti, Giordana Rubria Fiori, Sergio Lapedota, Valentina Rando e Irina Riabikova, russa ma residente in Italia, che per tutto il corso si sono alternati al pianoforte per la preparazione delle voci perché l’opera non esiste senza il canto.
Ci sono dunque i soprani Alessia Pintossi e Francesca di Sauro, rispettivamente Nedda di Pagliacci e Santuzza di Cavalleria, due appassionate e puntuali interpreti nei rispettivi ruoli di “candida seduttrice” e di sedotta e abbandonata; i tenori Azer Zada e Matteo Falcier ad alternarsi nel ruolo di Compare Turiddu; il baritono Serban Vasile nel ruolo di Tonio dei Pagliacci (il suo straordinario prologo è l’equivalente letterario del preludio musicale ed è solo la prima delle tante sorprese che ci riserva l’opera che alterna  realtà e finzione fino al tragico finale) e di Compare Alfio di Cavalleria, il contralto Antonella Carpenito è Lola, il mezzosoprano Clarissa Leonardi è Mamma Lucia la madre di Turiddu. Il tenore di stampo classico dal bel timbro virile Aser Zada, già Radames in una recente Trilogia ravennate, ci guida all’emozionante riscoperta di “Vesti la giubba”, atto di dolore di Canio, il teatrante che deve far ridere mentre il suo cuore sanguina, e poi ci tocca nel profondo con il brindisi finale di Cavalleria che è l’addio di Turiddu alla vita e anche la tardiva assunzione di responsabilità verso Santuzza che ha sedotto senza sposarla e verso la madre che abbandona perché non si sfugge al destino. Tutto questo avviene nel contesto di due straordinari tessuti musicali che sono paesaggi emotivi prima ancora che geografici ed è come se la bacchetta morbida e perentoria di Muti trasmettesse a tutti uno stato di grazia pienamente percepibile. Fra un’opera e l’altra c’è stato un lungo silenzio, necessario per far decantare l’emozione di Pagliacci e passare a quella di Cavalleria rusticana, altra storia, altri colori, altra atmosfera.

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Applausi finali interminabili per Muti, direttore d’orchestra della serata del 29 luglio 2020, dove le pagine delle due opere veriste, sia cantate che soltanto strumentali (indescrivibile l’alchimia dei due preludi e dei due intermezzi) hanno assunto inedito spessore invadendo tutti gli spazi fisici e mentali. Non diciamo, per favore, che la musica è un’astrazione, perché non c’è nulla di più concreto, potente ed evocativo di un’opera bella eseguita come Dio comanda.
Il segreto? «Ripetere, ripetere, ripetere: questo ho chiesto tante volte ai musicisti perché aumentassero la concentrazione, il rigore, la lettura scevra da malintesa italianità» ha detto ancora Muti nella serata conclusiva del 31 luglio in cui sono stati i quattro direttori a prendere  posto sul podio, tenendo incatenati con lo sguardo i musicisti, assai distanziati per le norme antiCovid, e il cast dei cantanti, per gli attacchi e gli impulsi in corso d’opera.
I direttori licenziati quest’anno sono Giovanni Conti, classe 1996, di Varese, Samuele Galeano, classe 1987 di Catania, già violino di spalla dell’Orchestra Giovanile Cherubini, Charlotte Politi nata nel 1990 a Parigi e residente a Firenze, Tais Conte Renzetti, italo-brasiliana, nata a Anapolis il 19-11-1990 e residente a Milano, a cui il M° Muti ha augurato tanta fortuna sollecitandoli a non abbandonare mai lo studio, fondamentale per migliorare la performance. Tutti i direttori hanno emulato il docente cercando un risultato che non è mancato, testimoniato dagli appassionati applausi del pubblico.
Come ravennate orgogliosa di quanto vi accadde, anche in tempi difficili come questi, penso che la città con l’Academy ha aggiunto alle sue attrattive internazionali un altro tassello foriero di ulteriori sviluppi. «Dalla Corea e dal Giappone, dove la lirica italiana è prediletta e dove si aprono continuamente auditorium e sale da concerto - ha sottolineato Muti - giungono richieste di partecipazione e di collaborazione che quest’anno non è stato possibile accogliere per il Covid-19. Del resto, Ravenna bizantina con i suoi mosaici, è già la porta d’Oriente.»

Crediti fotografici: Marco Borrelli e Foto Zani-Casadio per Ravenna Festival
Nella miniatura in alto: il maestro Riccardo Muti
Al centro in sequanza: il maestro Muti guida sul podio Giovanni Conti, Charlotte Politi, Samuele Galleano e Thais Conte Renzetti
Sotto, da sinistra: Tais Conte Renzetti, Giovanni Conti, Charlotte Politi e Samuele Galleano






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