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Nostra conversazione con il baritono francese dopo la recita del 'Simon Boccanegra' a Genova

Ludovic Teziér a tutto campo

intervista a cura di Simone Tomei

Pubblicato il 20 Febbraio 2019

190220_Ge_00_LudovicTezier_phA.BofillGENOVA - Per chi ama la musica e l’opera ogni partenza verso una nuova avventura teatrale porta in seno tanti diversi stati d’animo (attesa colma d’entusiasmo, paura di un’eventuale delusione, aspettative e supposizioni personali), sui quali vince però, senza dubbio, il piacere di far qualcosa che è parte fondamentale della propria vita e che nutre il corpo e lo spirito al pari del cibo quotidiano.
E la mia ultima tappa, Genova, mi ha regalato le più belle emozioni che si possano desiderare in tal senso, tra cui si erge senza dubbio (proprio come l’obelisco di Luxor al centro di Place de la Concorde a Parigi) l’incontro con il baritono francese Ludovic Teziér, il quale, dopo la mirabile recita del Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi al Teatro Carlo Felice, mi ha concesso questa arricchente intervista, che ha impreziosito ancor più le sensazioni di “stupore e maraviglia” provate all’uscita del Teatro.

Che cos’è la musica per Ludovic Tézier?
Forse non tutto, ma di certo nulla di meno dell’aria che respiro. Per la mia famiglia la musica (che si tratti di ascoltarla, cantarla o anche, semplicemente, di chiacchierarne) fa parte della quotidianità, tuttavia penso che, per poter fare questo lavoro a un certo livello, occorra davvero vivere e, se necessario, anche dormire con la musica in testa. Quando io e mia moglie (il soprano Cassandre Berthon, NdA) ci siamo conosciuti in scena, abbiamo subito iniziato a parlare proprio di questo e lei, bravissima cantante, mi ha confidato “Sai, ogni tanto faccio dei sogni relativi a qualche problema tecnico”, al che le ho risposto “Pure io!” Forse siamo un po’ fissati... (E, proprio nell’ironizzare sulla puntigliosità musicale di Casa Tézier, Ludovic ci regala la prima di quelle risate calde e cordiali che torneranno altre volte nel corso di quest’intervista).

Dove hai incontrato la musica?
A casa mia, dove il giradischi era sempre in funzione. Non ricordo un giorno senza musica: canzoni, opere, musica sinfonica… (Bussano alla porta del camerino: è il tenore Francesco Meli, giunto a congratularsi con il collega, al cui fianco interpreta Gabriele Adorno. Dopo i reciproci attestati di stima e i saluti di rito, la mia conversazione con Teziér riprende).

Come è arrivata la vocazione per il canto lirico?
Un po’ casualmente. Ascoltavo i dischi d’opera in casa, ma ho scoperto di saper cantare facendo musica leggera con gli amici, anche se all’inizio loro mi prendevano un po’ in giro per il tipo di voce, che chiamavano “alla Pavarotti”. Siccome però la lirica mi piaceva molto, ho deciso (un po’ per sfida) di farmi ascoltare da una una signora, la quale mi ha detto “Vale la pena di insistere.” Sei mesi dopo, sono entrato nella scuola di musica di Marsiglia. Avendo solo diciotto anni e la voce ancora chiara, ho fatto l’audizione proponendo arie tenorili, ma ho avuto la fortuna di incontrare subito la mia futura insegnante, Claudine Duprat, la quale mi ha detto: “Mi spiace non sarai mai un tenore, però puoi diventare un buon baritono”. Il che per me è stato una fortuna, dato che, mentre già cantavo come baritono, una serie di persone ha provato a convincermi che in realtà ero un tenore! Per un giovane cantante una situazione simile può essere pericolosa. Non si può cambiare la voce, ma si può sbagliare a indirizzarla se malconsigliati ed è uno sbaglio che può costare caro.

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Anche mantenere la voce è importante...
Quello è stato il mio impegno personale successivo. La mia carriera è iniziata in modo molto rapido e, avendo perso il contatto diretto con i professori, ho dovuto imparare a sistemare le cose da solo “a vista”, certo facendo anche degli errori, ma lavorando passo passo e cercando di prendere il meglio dagli incontri con i colleghi più maturi o comunque dotati di maggior esperienza.

Fra le sfide che hai vinto nella tua carriera, quale reputi la più importante?
Probabilmente andare in scena la prima volta, perché sono di natura piuttosto riservata. Cantare mi è sempre piaciuto, ma esibirsi in un allestimento lirico recitando è tutt’altra cosa. Però è proprio dalla volontà di andare oltre queste paure, derivanti dall’avere un carattere introverso, che ho avuto la prova definitiva di quanto il canto fosse importante per me.

Qual è il ruolo che hai più a cuore?
Adoro Verdi, quindi non posso che citare come esempio Simon Boccanegra, personaggio che riassume in sé al meglio ogni qualità del baritono verdiano. In quest'opera, Giuseppe Verdi mette a nudo se stesso, la sua vita, la sua sofferenza e la sua visione politica. Si tratta di un capolavoro assoluto e occorre una preparazione estrema per rendere giustizia a questo spartito fenomenale. Non basta cantarlo bene, bisogna viverlo e forse anche eseguirlo solo quando si è arrivati a un certo punto nella propria vita.

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Essere padre davvero aiuta a viverlo nella giusta prospettiva?
Direi di sì. È un po’ come fare Rigoletto senza conoscere nulla del rapporto genitoriale. Un giovane baritono certi ruoli “vissuti” li può anche fare, ma, al di là della bella voce e dell’immagine corretta, cosa ci lascia la sua esecuzione alla fine? Per me, a livello emotivo, mancherà sempre qualcosa.

Un altro sublime ruolo baritonale verdiano è Rodrigo di Don Carlo: dal momento che lo hai cantato in entrambe le versioni, qual è la diversità fra interpretarlo in italiano e in francese?
Questa è una domanda che mi sono fatto a lungo. La lingua ha già un valore musicale a sé e le differenze sulla partitura sono una conseguenza di quelle linguistiche. Verdi, che parlava il francese molto bene, ha composto due musiche diverse perché diversi sono i due idiomi. Nella versione italiana, lingua per sua natura più colorata ed espressiva, il personaggio di Rodrigo diventa più romantico, simpatico e scapestrato, mentre nella versione francese assume un forte connotato nobile e politico, nel quale il suo cruciale duetto con il re sembra quasi riflettere quanto accadde al Congresso di Vienna fra Talleyrand e Metternich. Fare Rodrigo in entrambe le lingue è quasi come affrontare  due personaggi diversi, ciascuno dei quali, però, aiuta poi l’altro a svilupparsi meglio.

Passiamo da Verdi a Jules Massenet: come hai fatto a calarti nei panni di Werther (nella ripresa della versione baritonale dell’opera) dopo essere stato un ottimo Albert?
La questione è interessante alla luce del fatto che l’opera gira intorno a Charlotte, dalla quale tutti pretendono qualcosa senza però preoccuparsi di capire cosa invece voglia lei. Werther e Albert fanno parte di quel mondo maschile che la opprime, quindi passare da un tipo di oppressione a un altro non è poi così difficile. Certo la prevaricazione di Albert (tipico uomo che vuole la moglie sottomessa e chiusa in casa) è più facilmente identificabile, mentre Werther è un giovane poeta, ma resta comunque un edonista, altrimenti non metterebbe la povera Charlotte davanti all’ultimatum “o ritorni da me o mi suicido.”
Per questo, nonostante la versione tenorile di Werther sia bellissima, ritengo quella baritonale più vicina ai sentimenti che animano l’originale letterario di Goethe. Basti solo pensare all’atmosfera cupa e drammatica che creano due voci scure nel tragico duetto finale.

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Perché un artista del tuo calibro canta così poco in Italia? E non dire “perché i teatri non mi chiamano...”
Ma è la verità! Prima di questo Simon Boccanegra, il mio ultimo impegno in Italia risale al 2013: Don Carlo al Regio di Torino, teatro a cui mi legano bei ricordi e dove nel 2001 ho debuttato anche come Hamlet nell’omonima opera di Thomas. E poi, purtroppo (se escludiamo l’Aida su disco, diretta da Antonio Pappano e registrata all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma) più niente.
Ogni volta che, all’estero, gli spettatori italiani mi chiedevano perché non venissi più in Italia, non sapevo cosa rispondere. Che un singolo teatro non mi voglia posso capirlo, ma che non mi chiami una nazione intera... Ecco, non nascondo di averne sofferto, perché mi sento molto vicino alla vostra cultura e alla vostra lingua. Spero che ora la situazione cambi grazie a Genova, che ha avuto l’audacia di farmi venire con un preavviso minimo. A volte, quando si presentano certe occasioni bisogna rischiare, ma l’accoglienza avuta sul palco del Carlo Felice mi ripaga di tutto.

Da lucchese ti chiedo: fra Puccini e Verdi a chi va il tuo amore?
Verdi, Verdi, Verdi... e anche Puccini ti avrebbe risposto lo stesso! Però ho cantato sovente La Bohème e Madama Butterfly, reputo Tosca un’opera geniale e mi sono emozionato tantissimo con Manon Lescaut. Quindi ti dico Verdi perché con lui c’è una connessione più diretta, però non posso negare che Puccini abbia dei momenti che lasciano a bocca aperta, come il “Te Deum” di Tosca, l’appello delle deportate in Manon Lescaut o il doppio duetto della Bohème. Chi lo ascolta e pensa “Ah, vabbé, musica semplice” dovrebbe andare a leggersi lo spartito per capire quanto sia complicato a livello musicale ottenere quest’effetto di naturalezza. E vogliamo parlare della bellezza di Tabarro e di Gianni Schicchi o La fanciulla del West? Diciamo che nel mio futuro Puccini non mancherà. Le sue opere sono come delle splendide chiese e in una chiesa bella si entra sempre a pregare più volentieri.

Che rapporto hai con la critica musicale?
Generalmente buono. La critica fa parte della lirica fin dagli inizi ed è necessaria per far conoscere l’opera a chi vive lontano dai grandi centri o dai teatri. Tuttora sono tante le persone che vanno ad assistere a determinati spettacoli perché un certo critico li ha apprezzati oppure ha scritto qualcosa che li ha incuriositi, spingendoli a volerli vedere di persona. Dunque se la critica fa venire la gente all’opera per ascoltare, confrontarsi e discutere, ben venga. Se diventa uno sterile gioco di comparazioni a chi è più bravo, a cosa serve?
Personalmente apprezzo le recensioni ben argomentate e che forniscono all’artista spunti di riflessione per migliorarsi, mentre non comprendo il senso di quelle che nascono da una penna avvelenata già in partenza. È del tutto legittimo che uno spettacolo o una performance non piacciano, ma l’importante è dirlo con educazione. Che bisogno c’è di essere cattivi? Mi è capitato di finire nel mirino di un critico francese particolarmente feroce, che però di me non ha più scritto da quando gli ho risposto a tono, sia pur in modo educato.

Cantare “male” una sera è umano...
Certo, però se un cantante sta comunque dando tutto se stesso, il critico dovrebbe limitarsi a prendere atto di ciò che non va senza infierire perché chi ha davanti potrebbe non stare bene, a livello fisico o emotivo. Per esempio, due giorni dopo la morte di mio padre, ero di nuovo sul palcoscenico. Il nostro è un mestiere meraviglioso anche in virtù del rapporto che si crea dal vivo con il pubblico e vederlo “macchiato” da certe cattiverie è brutto. Per questo, a volte, non andiamo in scena.

Quando non canti, com’è la tua vita?
Pazza! Lo sa bene mia moglie Cassandre: abbiamo giusto un paio di giorni per fare le lavatrici e sistemare tutto prima di ripartire, dato che siamo sempre in giro. La fatica in scena dà tanta gioia, ma quando torni a casa dopo due o tre mesi d’assenza... ecco arrivare il lato più stancante del mestiere. Al momento la nostra base è Parigi (sia per la comodità negli spostamenti, sia per via della scuola di nostro figlio Aureliano), ma abbiamo anche una casa in Alsazia. Solo che è difficile godersela con pochi giorni liberi l’anno. Dovrei dire di no più spesso? Forse, ma al momento ho la fortuna di cantare a un livello da sogno e come faccio a non inseguire certe opportunità, tipo quella di esordire a Salisburgo nei panni di Simon Boccanegra? E, nel momento in cui gli impegni si sovrappongono, si fa il possibile per fare le scelte migliori e conciliare famiglia, lavoro e salute.

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A proposito di Boccanegra, tornerai all’Opera di Montecarlo, dove sei stato Simone nel 2017?
Sì, prossimamente con Cassandre per Thaïs di Massenet. Mi piacciono sia la città, sia la bella atmosfera che il direttore Jean-Louis Grinda ha saputo costruire all’interno del teatro.

190220_Ge_10_LudovicTezierSimoneTomeiFuturi impegni da qui all’estate?
Dal 21 marzo al 12 aprile interpreterò Don Carlo di Vargas ne La forza del destino diretta Antonio Pappano alla Royal Opera House di Londra con Anna Netrebko (Leonora) e Jonas Kaufmann (Don Alvaro). A maggio sarò Wolfram von Eschenbach in Tannhäuser alla Bayerische Staatsoper di Monaco e a luglio il Conte di Luna ne Il trovatore al Teatro Real di Madrid (produzione in cui sarà presente anche Cassandre nel ruolo di Ines) dove ritroverò Francesco Meli e Maria Agresta. Infine, ad agosto, volerò in Australia per un Andrea Chénier in forma di concerto alla Sydney Opera House, di nuovo insieme a Kaufmann.

E in Italia quando ti rivedremo?
Tornerò alla Scala di Milano. Non posso dirvi quando: posso dire solo che è un progetto bellissimo.

Spengo il registratore, ma la nostra conversazione prosegue, virando verso lidi più confidenziali e di esperienza privata. Ed ecco che, complice la presenza del basso Vincenzo Forgione (artista del coro dell’Opera di Montecarlo), si ripercorrono le figure cardine del mondo del melodramma francese e italiano, rievocando i ricordi personali relativi ai grandi interpreti del passato ed evidenziandone le peculiarità interpretative e tecniche. Si parla di canto all’italiana e di artisti d’oltralpe, dei grandi baritoni del passato (come Riccardo Stracciari, Carlo Galeffi, Gino Bechi, Titta Ruffo, Giuseppe Taddei, Ugo Savarese, Jean Borthayre, Charles Cambon, Michel Dens, Robert Massard e Camille Maurane, “voci straordinarie eppure sconosciute a molti giovani cantanti” ha commentato incredulo Ludovic Tézier) e dei rispettivi insegnanti, evidenziando quel modo entusiasta con cui hanno saputo trasmettere l’arte sopraffina del canto ai loro allievi. Il nostro commiato coincide con un saluto e un omaggio alla grandezza umana e artistica del maestro Bruno de Simone, elemento indispensabile per poter concretizzare il mio incontro con Tézier.
Al termine di questo racconto, sento sgorgare dal cuore un senso di gratitudine immensa per ciò che la vita mi sta regalando giorno dopo giorno, in un mondo (quello del Teatro e del melodramma) che sento mio e che tuttavia vivo con la rispettosa distanza dettata dalla profonda stima verso chi lo fa.
(Ringrazio la dott.ssa Angela Bosetto per la fattiva collaborazione alla realizzazione di questo servizio)

Crediti fotografici: Alain Hanel (Monte Carlo); Marcello Orselli (Genova); Elena Bauer (Parigi); Agathe Poupeney (Parigi); A. Bofil (Barcellona); Michael Painihn (Vienna); Charles Duprat (Parigi); Stephen Cummiskey (Londra); Simone Tomei
Nella miniatura in alto: il baritono francese Ludovic Teziér
Sotto, in sequenza: in Lucia di Lammermoor a Londra; in Werther a Vienna; con Jonas Kaufmann in Don Carlos a Parigi; in Simon Boccanegra a Genova; in Il trovatore a Parigi
Al centro in sequenza: in Simon Boccanegra a Parigi con Maria Agresta; e ancora a Vienna, nel finale del Werther
Sotto: con Martina Serafin in Macbeth a Barcellona
In fondo: foto-ricordo con il nostro critico musicale Simone Tomei






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