Pubblicato il 11 Giugno 2024
Il concerto al Pala De André ha schierato un'Orchestra Cherubini in grande spolvero
Simone Nicoletta clarinettista per Muti servizio Attilia Tartagni

20240611_Ra_00_OrchestraCherubini-RiccardoMuti_SimoneNicolettaRAVENNA - Come sempre prima dei concerti diretti dal M° Riccardo Muti l’atmosfera è di spasmodica attesa, mentre l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini è già tutta schierata sul palco a provare gli strumenti. L’incedere carismatico del direttore spezza quel tempo sospeso, scatenando l’applauso e l’abbraccio ideale del pubblico. Muti lo abbiamo visto in mondovisione TV dall’Arena di Verona nella serata del  7 giugno organizzata per celebrare nel mondo il canto lirico italiano riconosciuto quale patrimonio immateriale UNESCO, il direttore italiano numero uno al mondo in una professione che è vocazione, ragione e sentimento, eppure lo sentivamo quasi intimidito da quel palcoscenico storico da cui ha animato in una maniera che non esito a definire sublime alcune fra le più belle sinfonie del melodramma.
Cito fra tutte quella pucciniana dove la musica inesorabilmente ci porta a disperarci, a smarrirci e infine a soccombere insieme all’anima un tempo frivola della gaudente Manon Lescaut condannata a perire in terra straniera. La lettura del M° Muti sublima il lirismo pucciniano scatenando un vortice di passione al confine fra la terra e il cielo.
E’ un’emozione che rivivremo in  TV il 21 giugno prossimo,  in una serata omaggio a Puccini ancora diretta dal “nostro” Muti, l’italiano, concetto che egli ribadisce con le parole e con le scelte musicali, come in questo concerto che celebra il ventennale dell’orchestra Cherubini omaggiando lo stile italiano nel più ampio contesto europeo.
La galoppata musicale parte dalla Ouverture in do maggiore “in italienischen stile” op. 170 D591 di  Franz Schubert  che risente, sia pure con filtro teutonico, del talento di Gioachino Rossini e dei “crescendo” delle sue sinfonie, per cedere il passo al grande W.A.Mozart, fatalmente attratto dalla musica italiana, impegnato a dare risalto, quasi fosse una voce umana, al clarinetto, strumento giovane (concepito e realizzato dall’amico e brillante clarinettista Anton Stadler nel 1787, al quale il Concerto in la maggiore K 622 è dedicato), allora poco esplorato nelle sue capacità ritmiche ed espressive.  La bella interpretazione di Simone Nicoletta, 35 anni,  formatosi fra i “Cherubini” sotto la guida del M° Muti, oggi primo clarinetto nell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, nonché concertista di spicco e docente presso i conservatori di Adria e Modena, ha oltrepassato i limiti dell’esibizione per trasformarsi in una sorta di dialogo alla pari fra l’allievo ormai emancipato, lanciato verso una brillante carriera, e il maestro a cui egli non cessa di manifestare la sua gratitudine.

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La seconda parte è stata dedicata a due compositori italiani ingiustamente dimenticati, accusati di essere “intedescati” come l’Alfredo Catalani di “Contemplazione”, un brano che invece  brilla per la cantabilità tutta italiana di questo compositore lucchese, morto a soli 39 anni senza avere agguantato il successo che meritava, una vita troppo breve per lasciare tracce profonde.
Ferruccio Busoni, con la sua Suite per orchestra op. 41 dedicata a Turandot, la fiaba di Carlo Gozzi che ispirò anche Puccini, in soli quattro degli otto quadri, ha scandito ritmi di marcia e di danza di una musica che del “dramma fiabesco” esalta il soprannaturale e la straordinarietà con colori a volte chiassosi ed espressionistici.
In una siffatta varietà di stimoli e sensibilità, magnifica, profonda, quasi viscerale è stata l’aderenza della giovane compagine alla volontà del maestro, a quel gesto che genera la buona musica come una bacchetta magica. Applausi incontenibili, poi l’intervento volto a informare gli astanti di quanto Mahler stimasse la musica italiana, tanto da dedicarle il suo ultimo concerto, cosa verificata da Muti stesso con una ricerca d’archivio.
E infine il maestro ha regalato un fuori programma, cosa inconsueta per chi, come Paganini, non ripete: ed è il famoso intermezzo dalla Fedora di Umberto Giordano, basato sull’aria “Amor ti vieta”, a chiudere con struggente lirismo un programma inusuale, stimolante e portatore di riflessioni, al quale forse non poteva mancare il compositore foggiano tanto apprezzato dal direttore.
Fra qualche giorno il M° Muti porterà questo concerto nella rinomata sala del Musikverein di Vienna, regalando una nuova entusiasmante esperienza a questi giovani immersi in una lunga tradizione musicale. Circa un migliaio sono i giovani forgiati dal M° Muti dal 2004 nei tre anni di permanenza in orchestra. A essi ha trasmesso il proprio sapere senza risparmiarsi, esaltando i valori della Musica italiana ed è forse questa la cosa per cui oggi può andare giustamente fiero come uno degli aspetti umanamente più rilevanti e nobili della sua straordinaria carriera.
(il servizio si riferisce al concerto di Domenica 9 giugno 2024)

Crediti fotografici: Zani-Casadio per Ravenna Festival 2024
Nella miniatura in alto: il clarinettista Simone Nicoletta ospite solista nel Concerto K 622 di Mozart
Sotto: Riccardo Muti sul podio dell'Orchestra Giovanile "Luigi Cherubini"





Pubblicato il 12 Maggio 2024
Ha preso il via al Palazzo De Andrč la trentacinquesima edizione del Ravenna Festival
Mozart, Schubert e Muti un trionfo servizio di Athos Tromboni

20240512_Ra_00_RavennaFestival_RiccardoMuti_phZaniCasadioRAVENNA - E così l'11 maggio dentro un Palazzo De Andrè stipato di pubblico all'inverosimile (3500 posti a sedere la capienza dichiarata) è iniziata la trentacinquesima edizione del Ravenna Festival, quest'anno sulle corde d'una frase biblica, E fu sera e fu mattina..., sottotitolo della manifestazione mutuato dal più celebre "leitmotiv" della Genesi. Ovvio e addirittura scontato che ci fosse il pienone, visto che il concerto d'apertura vedeva sul podio dei mitici Wiener Philharmoniker il maestro Riccardo Muti in un concerto quanto mai accattivante: Mozart, Sinfonia n.35 in Re maggiore K385 "Haffner", e Schubert, Sinfonia n.9 in Do maggiore D944 "La Grande".
Era l'ennesimo ritorno dei Wiener a Ravenna, dove negli anni oltre ai grandi concerti hanno anche suonato per l'opera, sempre Mozart, sempre Muti sul podio.
I primi pullman e pullmini di spettatori avevano cominciato ad arrivare nel comodo e ampio parcheggio del Palazzo De Andrè già un paio d'ore prima delle 21, poi via via le automobili private, tanto che mezz'ora prima del concerto c'era una lunga fila davanti alla biglietteria. Poco disagevole - comunque - fare la fila, perché l'ottima organizzazione del botteghino riusciva a smaltire lo sbigliettamento, o il cambio delle prenotazioni nel biglietto d'ingresso, in maniera funzionale e celere (possiamo citare la proverbiale efficienza romagnola?... ma sì, citiamola).
Dunque Palazzo stracolmo nell'imminenza del concerto, palco suggestivo con quell'ottantina di sedie ancora vuote, l'arpa, i timpani, la grancassa e le decine di microfoni per l'amplificazione (risultata poi misurata, equilibrata, perfetta).
E applausi calorosi al giungere dell'orchestra, primo violino in testa, poi ovazioni al giungere di Riccardo Muti mentre l'orchestra, avendo già accordato gli strumenti, aspettava composta e in silenzio assoluto il giungere del maestro.
Dopo il primo colpo di bacchetta sull' Allegro con spirito della Sinfonia "Haffner" di Mozart era palesemente chiaro quanto professori d'orchestra e maestro fossero vicendevolmente complementari, lui primus inter pares, perché Muti dava indicazioni d'attacco e passaggi da un tema all'altro e da una sonorità all'altra, in maniera essenziale, lasciando l'orchestra (e il primo violino) libera di procedere da sé; mentre egli, spesso sorridente, osservava con ironica e divertita compiacenza i musicisti impegnati nell'esecuzione.

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Era poi significativo il gesto del direttore nell' Andante: la bellezza della musica, ma anche la sua corporalità, il suo farsi materia inafferrabile eppur concreta, era accompagnata dalla bacchetta tenuta quasi sempre orizzontale, all'altezza del bacino; e alzata verticale al livello delle spalle solo alcune volte per richiamare il contrappunto dei fiati e delle percussioni susseguenti alle frasi ruffiane degli archi; questo durante l'intero secondo movimento. Ma la mano sinistra no, la mano sinistra danzava davanti agli orchestrali accompagnando la melodia, abbassandosi per richiamare i pianissimi, stringendo il pugno per puntualizzare un accento, incitando, persuadendo, seducendo. Rimane sorprendente come un'orchestra sinfonica moderna composta da una ottantina di strumentisti possa avere trovato, sotto la direzione di Muti, quella leggerezza e trasparenza classica propria delle orchestre da camera più prestigiose quando eseguono Mozart con l'ensemble ridotto alle dimensioni previste dal compositore, e magari con strumenti d'epoca e il diapason abbassato.
Va da sé che gli altri due movimenti della "Haffner" hanno completato in maniera egregia l'esecuzione: un Minuetto reso sinfonicamente solenne e soprattutto un Presto finale cavalcato in maniera irresistibile per tempi e dinamiche, anche là dove la citazione dell'aria di Osmino da Il ratto dal serraglio fa sorgere spontaneo il pensiero della pratica degli "imprestiti" che ogni compositore - chi più chi meno - ha praticato nel tempo.
Veniamo dunque alla parte più impegnativa (forse) del concerto: la Sinfonia n.9 in Do maggiore D944 "La Grande" di Franz Schubert: ora, riteniamo che questa musica non si possa apprezzare appieno se non se ne conoscono le traversie. Ce le spiega - le traversie - Robert Schumann nel suo scritto sulla Sinfonia in Do maggiore di Schubert del 1840, dodici anni dopo la morte del compositore viennese.
Citiamo testuale: «... Non lontano dalla città (di Vienna) si trova un cimitero, dove due dei più grandi spiriti dell'arte della musica riposano soltanto a pochi passi l'uno dall'altro. Come me, più d'un giovane musicista sarà andato al cimitero di Wäring per porre su quelle tombe un'offerta di fiori, fosse pur soltanto un mazzo di rose selvatiche, come ne ho trovato piantate vicino alla fossa di Beethoven.
La tomba di Franz Schubert era disadorna... Tornando a casa mi venne in mente che viveva ancora un fratello di Franz Schubert, Ferdinand, che - come sapevo - Franz stesso aveva amato assai. Andai tosto da lui e lo trovai somigliante, più piccolo, ma saldamente complesso, e nell'espressione del suo viso si leggeva lealtà e musica in egual misura. Egli mi raccontò e mi fece vedere molte cose... infine mi fece vedere alcune composizioni (veri tesori!) del fratello Franz Schubert che ancora si trovavano nelle sue mani. La ricchezza che ivi giaceva ammucchiata mi fece fremere di gioia... Chi sa da quanto tempo anche la Sinfonia in Do maggiore di cui oggi parliamo, sarebbe rimasta coperta di polvere e nell'oscurità, se io non mi fossi tosto inteso con Ferdinand Schubert d'inviarla a Lipsia alla direzione del Gewandhaus ed all'artista stesso che colà dirige, al cui acuto sguardo difficilmente sfugge la più timida bellezza sbocciante, e perciò tantomeno quella splendida e magistralmente abbagliante. Così si realizzò la cosa...»
Ora, se consideriamo che all'epoca della composizione della sua Nona Sinfonia, Franz Schubert era già malato di sifilide (e sarebbe morto poco meno di tre anni dopo), isolato dal mondo per vergogna del suo aspetto gonfio e con la pelle chiazzata, intento a meditare sulla grandezza della Nona Sinfonia di Beethoven alla cui prima esecuzione aveva partecipato, si ha un quadro emotivo da cui è nata la sua Sinfonia in Do maggiore denominata successivamente "La Grande". Ogni testo di musicologia, reperibile ovunque anche in rete, ne spiega i contenuti.

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Poco da aggiungere in merito all'esecuzione dei Wiener Philharmoniker, se non che il climax è cambiato, passando dalla giocosa sinfonia-serenata mozartiana alla più complessa orditura della Sinfonia schubertiana, a volte spiritosa, ma per la maggior parte intensa e riflessiva e comunque "Grande".
Ovazioni, alla conclusione del concerto, quando al seguito di interminabili applausi e più chiamate del direttore alla ribalta, lo stesso Muti ha preso in mano il microfono e ha comunicato che «... dopo l'esecuzione della Grande non ci può stare altro. Comunque in via del tutto eccezionale e per il legame che unisce i Wiener Philharmoniker a una città come Ravenna, concediamo un fuori programma...»: Kaiser Walzer di Johann Strauss jr. Naturalmente, trionfo.
(La recensione si riferisce al concerto di sabato 11 maggio 2024)

Crediti fotografici: Zani-Casadio per il Ravenna Festival 2024
Nella miniatura in alto: il maestro Riccardo Muti
Al centro: Muti sul podio dei Wiener Philharmoniker
Sotto: panoramiche interno-esterno del Palazzo De Andrè di Ravenna





Pubblicato il 08 Dicembre 2023
Il Maggio Musicale Fiorentino ha chiuso con buon successo il ciclo Beethoven-Honegger
Applausi calorosi per Lupo e Gatti servizio di Nicola Barsanti

20231208_Fi_00_ConcertoDanieleGattiBenedettoLupo_DanileGattiFIRENZE - Dopo il fortunato Ciclo Chajkovskij, il direttore musicale del Teatro del Maggio, Daniele Gatti, porta a termine un altro nuovo interessante progetto musicale: il Ciclo Beethoven-Honegger e l'Europa, costruito accostando le rare sinfonie del compositore franco-svizzero Arthur Honegger ai ben più celebri cinque concerti per pianoforte e orchestra di Ludwig Van Beethoven.
L'ultimo appuntamento, replicato anche giovedì 7 dicembre 2023, vede il pianista Benedetto Lupo esibirsi in quello che all’età di 13 anni segnò il suo debutto sul palcoscenico, ovvero il Concerto n.1 in Do maggiore op. 15, caposaldo viennese e pilastro fondante di quelli che saranno le future intuizioni musicali del compositore di Bonn (basti pensare al successivo Concerto n.3 in Do minore, ispirato al concerto per pianoforte e orchestra di Mozart, quello in Do minore k491).
Venendo all’esecuzione, la prima impressione è che pianista e direttore siano avvolti da un’aurea d’incertezza circa i tempi, la dinamica e l’acustica della sala, sentimento che va attenuandosi alla fine del primo movimento grazie alla seconda cadenza, di cui, però, si apprezza più la ricerca del suono che l’intenzione musicale. Lodevole, invece, il lirismo del secondo movimento, in cui  l’orchestra riesce finalmente a sposarsi con le dolci sonorità di un adagio incantevole, per giungere a un finale ben eseguito nel suo carattere fortemente umoristico, ricco di intuizioni musicali e marcati ritmi di danza. Molto apprezzato anche il bis concesso dal pianista, costituito da una bellissima pagina brahmsiana.
La serata continua con la Sinfonia n.5 in Re minore di Arthur Honegger in tre movimenti: Grave, Allegretto e Adagio: composizione del 1950, eseguita per la prima volta nel 1951, racchiude tutto il pessimismo degli ultimi anni di vita del Maestro, scomparso nel 1955, che fanno di quest’ultima sinfonia la sua opera più enigmatica. Dett “"di tre Re” per la nota finale che si ripete alla fine di ciascun movimento, si inserisce senza dubbio fra le pagine musicali meno note ai più, ma molto apprezzate dal pubblico fiorentino, di cui il maestro Daniele Gatti denota ancora una volta quanto si trovi a proprio agio nell’eseguire tali difficili pagine sinfoniche, contraddistinte da fortissimi e pianissimi a contrasto, richiedendo  all’orchestra capacità espressiva, chiarezza e varietà nei colori. Di particolare rilievo la sezione dei fiati, e degli ardui passi ben eseguiti dai violoncelli.

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Il programma si è concluso con i Nocturnes di Claude Debussy (trittico sinfonico per voci femminili e orchestra articolato in tre momenti: Nuages, Fêtes e Sirènes), che permettono il coinvolgimento della sezione femminile del coro fiorentino, diretto come sempre dal bravo maestro Lorenzo Fratini.
La serata è terminata dunque fra gli applausi entusiasti di un pubblico numeroso.
(la recensione si riferisce al concerto di mercoledì 6 dicembre 2023)

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Maggioi Musicale Fiorentino
Nella miniatura in alto: il maestro Daniele Gatti
Sotto: i saluti di coro, orchestra e direttore al termine del concerto






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Un Flauto davvero magico
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La Euyo prende residenza a Ferrara e Roma

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