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Caloroso successo a Ferrara dell'allestimento realizzato a Ravenna per il Teatro Alighieri

La bohčme visual della Muti

servizio di Athos Tromboni

Pubblicato il 27 Gennaio 2024

20240127_Fe_00_LaBoheme_ElisaVerzier_phFabrizioZaniFERRARA - Suggestivo l'allestimento di La bohème di Giacomo Puccini curato da Cristina Mazzavillani Muti per il Teatro Alighieri di Ravenna, approdato ieri sera al Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Pubblico della grandi occasioni ("sold-out" si dice oggi, con un inglesismo ormai sostitutivo di "tutto esaurito" d'italiana fattura); pubblico festante nonostante la storia triste di Mimì e Rodolfo che sarebbe andata in scena di lì a poco. Ma quando il bello incontra il celebre (e l'insieme diventa celebre e bello) non contano le tristezze e le commozioni, conta il bello... e tanto basta per fare festa.
Allora, a recita conclusa, possiamo dire che La bohème pensata e realizzata in scena dalla Mazzavillani Muti è stata bella. Anzi, bellissima. Merito anche di strateghi delle luci e delle proiezioni come Vincent Longuemare responsabile delle luci di scena (in più servizi e recensioni di spettacoli precendenti l'abbiamo citato con ammirazione, e con pari ammirazione lo citiamo anche stavolta); come David Loom ("visual designer", che in italiano sarebbe "disegnatore degli effetti visivi"... troppo lungo nella lingua di Dante); come Davide Broccoli ("video programmer", cioè "programmatore delle videoproiezioni"... anche questo troppo lungo).
Come spiegare il fascino dell'allestimento? Sono prevalentemente proiezioni che si riflettono su pannelli di fondo e quintine che all'occorrenza scorrono e si posizionano. In tale modo vengono animati gli ambienti: la Soffitta, il Quartiere Latino, la Barriere d'Enfer con la neve che fiocca (effetto-neve straordinariamente bello, tutto fatto con visual design), di nuovo la Soffitta.
Le immagini proiettate investono anche i personaggi che si muovono in scena, e l'effetto ottico genera l'illusione visiva d'una totale immersione della recita dentro l'immagine. Insomma, una Bohème visual.

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La Mazzavillani Muti pretende poi, al di là e al di sopra degli effetti ottici, una conseguente recitazione degli interpreti affine alle emozioni manifestate dai personaggi: e qui tutti i protagonisti si rivelano attori molto ben preparati.
La cosa più bella, assieme alla regia, è risultata poi la concertazione del direttore Nicola Paszkovski sul podio della perfetta Orchestra Giovanile "Luigi Cherubini": mai un'esaltazione smodata delle tipiche ondate melodiche pucciniane spingendo l'enfasi dinamica, anzi la dinamica è sempre equilibratissima anche nel "tutti" dell'orchestra quando squillano gli ottoni acuti e gravi. Paszkovski non abbandona i cantanti a loro stessi, li segue, li invita al canto morbido e all'acuto veemente, li sostiene con un volume di suono strumentale che è leggero e trasparente eppure magniloquente e imperativo; il gesto del direttore è chiarissimo: lo intende l'orchestra, lo segue il coro, lo interpreta ubbidiente il cantante in scena. L'effetto d'insieme musica-canto è persino commovente, basterebbe da sé a fare quello spettacolo che tocchi la sensibilità degli ascoltatori.

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Il coro, preparato da Corrado Casati, è quello del Teatro Municipale di Piacenza, le voci bianche "Ludus Vocalis - Novello" sono dirette da Elisabetta Agostini, la Banda Musicale Cittadina di Ravenna è diretta da Mauro Vergimigli, i costumi sono realizzati da Manuela Monti.
Era doveroso citare, in apertura di cronaca musicale, tutti i nomi della produzione di questa Bohème perché (come direbbe, secondo noi, Cristina Mazzavillani Muti) il successo dell'allestimento è condivisibile e i meriti vanno condivisi con tutto lo staff tecnico.
Resta da dire dei cantanti: su tutti (diverse "spanne" su tutti) il soprano Elisa Verzier, una Mimì intrepida e commovente, splendida attrice, grande voce, suggestiva vocalità da lirica pura: sa cantare con ammirevole intonazione in tutta la gamma del registro, usa il canto in maschera e il canto di petto con la sapienza che le deriva dalla tecnica ma la sue emissione è naturale, senza apparente fatica; una brava, bravissima interprete.
Note meno entusiastiche per il tenore Alessandro Scotto di Luzio (Rodolfo) il cui canto di gola e quasi sempre aperto ha manifestato a Ferrara anche difetti d'intonazione e di squillo (deludente la sua "speranza" nella famosa aria "Che gelida manina" del Primo Quadro); auguriamoci (auguriamogli) che sia stata semplicemente una serata-no.
Energico ed esuberante il canto di Alessia Pintossi, una Musetta troppo Valchiria per unire alla morbidezza del canto l'apparente frivolezza del personaggio come previsto nella scena del Quartiere Latino; la sua emissione, priva di armoniche e di scarsa musicalità, ci ha fatto immaginare che sarebbe più adatta per la verdiana Lady Macbeth, piuttosto che per personaggi lirico-leggeri.
Bravo e perfettamente in ruolo il baritono Christian Federici (Marcello) la cui vocalità suadente, morbida e non priva di pienezza e potenza, ha gareggiato con la sua Musetta e con l'amico Rodolfo uscendo vincitore nella classifica della bellezza e appropriatezza di suono. 
Bravi anche il basso Andrea Vittorio di Campo (Colline, bella l'esecuzione della "Zimarra") e il baritono Clemente Antonio Daliotti (Schaunard). Elogi anche per i comprimari, il mimo Ivan Merlo (Parpignol e altre "ombre in scena" volute dalla regia), Fabio Baruzzi (Benoit), Graziano Dallavalle (Alcindoro e Sergente dei Doganieri) e il giocoliere Giorgio Panebianco.
Pubblico soddisfatto e lungamente plaudente al termine della recita, soprattutto all'indirizzo di Elisa Verzier (acclamata), Nicola Paszkovski e Cristina Mazzavillani Muti.
(la recensione si riferisce alla recita di venerdì 26 gennaio 2024)

Crediti fotografici: Fabrizio Zani  per il Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara
Nella miniatura in alto: il soprano Elisa Verzier (Mimì)
Sotto, in sequenza: immagini del Quartiere Latino e della Soffitta nell'allestimento curato da Cristina Mazzavillani Muti






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