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All'Opčra di Monte-Carlo una bella edizione dell'immortale capolavoro di Camille Saint-Saëns |
Trionfo per Samson et Dalila |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 26 Novembre 2018 |
MONTE-CARLO - Ho scelto di iniziare il mio scritto con queste pennellate frutto dei miei studi e delle mie letture di approfondimento prima della visione dell’opera Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns la cui rappresentazione si è concretizzata domenica 25 novembre 2018 al Grimaldi Forum - Salle de Princes quale titolo inaugurale della Stagione d’opera monegasca 2018-2019. «Il mito di Sansone e Dalila è uno di quei racconti tipici, di cui la storia della poesia di tutti i popoli non offre che rari esempi… Esso contiene una parte di verità eterna e di perenne attualità. Ci sembra sarebbe stato importante conservare a questa leggenda tutto il suo sapore originale, senza snaturare, fino a renderli irriconoscibili, i personaggi principali e soprattutto Dalila. Che cosa c'entra il patriottismo alla Giuditta? Il testo del libro dei Giudici è molto più semplice e per questo molto più significativo. Dalila tradisce Sansone per perversità femminile, nient'altro. È lì che la vecchia storia trae tutta la sua originalità… Facendo di Dalila una sorta di profetessa, cingendo la sua testa con l'aureola del patriottismo, la si rende più simpatica forse, ma sicuramente si sfigura il personaggio. Non è più Dalila, la Dalila della Bibbia, uno dei tipi meglio definiti… che abbia prodotto la poesia di tutti i tempi. È l'eroina di un altro dramma i cui avvenimenti leggendari formano lo sfondo, ma ridotti alle proporzioni d'un'avventura politico-sentimentale d'interesse puramente locale, perdendo in significato veramente umano quello che pensa di guadagnare in interesse drammatico.» (Paul Dukas, Samson et Dalila, 1892). Per il suo primo vero progetto d'opera, Saint-Saëns affronta un soggetto che attraverserà la sua opera come un leitmotiv: l'impossibilità per l'uomo di realizzare il proprio ideale di forza e di virtù se cede alle seduzioni femminili. Semplice premonizione o convinzione profonda di ciò che l'attendeva sul piano affettivo? Orfano di padre dalla più tenera età e figlio unico di una madre estremamente possessiva, egli tenterà invano più di una volta di convincere la musicista Augusta Holmès (celebre divoratrice di uomini) a sposarlo, poi sperimenterà un breve e disastroso matrimonio all'età di 40 anni con il quale si augurava probabilmente di soffocare le sue tendenze omosessuali. Louis Bilodeau, La tentation triomphante in L'Avant-Scène Opéra.
«Sansone e Dalila non ha avuto dapprima una vita facile: in Francia meno facile che altrove; ma l'opera è poi entrata nel repertorio e vi si è mantenuta perché contiene una "parte", una grande parte, ciò che non può dirsi di tante opere musicalmente più vive… Dalila riempie… la scena, è sempre eguale a se stessa. Le sue due grandi arie: Aprile foriero e S'apre per te il mio cor s'allargano in tutta l'opera come macchie di olio e hanno fatto la fortuna di un dramma coreografico che parve dapprima privo di pezzi chiusi. Stupendamente funzionale la prima, inserita artificiosamente la seconda, esse non dovrebbero però distrarre l'attenzione da altre scene - il vasto affresco corale del primo atto, la scena di Sansone alla macina - in cui il musicista ha creato il cliché di ogni futuro melodramma biblico. Che Saint-Saëns fosse un eclettico, Sansone lo prova anche troppo… Ma neppure le superficiali danze e lo stamburante duetto fra Sansone e Abimelecco tolgono all'insieme una certa severità di stile.» Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Arte, musica, società. Queste le tappe dell’opera che abbracciano un periodo di quasi venti anni: 1859: prima stesura del coro iniziale (fuori contesto) 1866: Prix de Rome: la prova di concorso è una cantata da intitolarsi Dalila 1867: intraprende la stesura di un oratorio 1867-1872: due audizioni private del II atto 1872: riprende il lavoro dopo La princesse jaune 1874: termina il I atto durante un viaggio ad Algeri 1875: I atto in forma di concerto a Parigi, Théâtre du Châtelet 1876: termina la stesura di Samson et Dalila
Una genesi difficile lunga e travagliata come si può evincere anche da queste parole tratte da Musical Memories: «… Durante tutte queste tribolazioni, per la messa in scena di Le Timbre d’Argent, stavo preparando Samson, sebbene non riuscissi a trovare nemmeno uno che volesse sentirmene parlare. Tutti credevano che dovessi essere pazzo per tentare un soggetto biblico. Diedi un’audizione del secondo atto a casa mia, ma nessuno lo capì del tutto. Senza l’aiuto di Liszt, che non ne conosceva neppure una nota, ma che mi incaricò di finirlo e di allestirlo a Weimar - dove Saint-Saëns aveva ascoltato Das Rheingold -, Samson non avrebbe mai visto la luce. A seguire fu rifiutato da Halanzier, Vaucorbeil, e Ritt e Gailhard, che decisero di darlo solo dopo averlo ascoltato cantato dalla grande cantante Rosine Bloch.» La rappresentazione dell’Opéra di Monte-Carlo ha trovato per mano del regista Jean-Louis Grinda un’ottima collocazione spazio-scenica in cui ogni elemento e particolare hanno beneficiato di un’attenzione quasi maniacale per poter rendere appieno una partitura ed un libretto sì complessi. L’agorà della città di Gaza entro cui si apre il primo quadro dell’opera assume i toni color terra e le sembianze che ci riportano alle meraviglie del Tetrapilo delle rovine di Palmira in Siria, all’antico sito archeologico assiro di Hatra, nell’Iraq settentrionale entrambi distrutti dalla follia Jihadista; è un po’ come se per un momento questi monumenti vecchi due millenni, fossero risorti dai loro ruderi per incastonare le vicende di questi due personaggi biblici nella rivisitazione librettistica di Ferdinand Lemaire. Intenso e suggestivo il colpo di prospettiva che ne esce nell’ampio palcoscenico del Forum la cui scenografia prende vita come i costumi, dalle mani e dalla mente di Agostino Arrivabene; l’uso sapiente di luci per mano di Laurent Castaingt completa la visione di uno spettacolo degno di grande encomio in cui la sontuosità visuale e la magnificenza della musica sono stati gli ingredienti indispensabili per beneficiare per oltre due ore di uno spettacolo affascinante e coinvolgente. Merita una menzione speciale la coreografia del Baccanale del terzo atto di Eugéne Andrin in cui il Balletto de l’Opéra de Shangai (Sohde) si è esibito in un discorso musicale molto preciso e con un’idea nitida e chiara: evocare il passato, inneggiare al presente e prefigurare il futuro con uno straordinario senso armonico e spiccato intento narrativo. Note di gran pregio anche per quello che riguarda l'aspetto musicale. Grande impegno dell'Orchestra dell'Opéra di Monte-Carlo che ha fatto del suono un suo peculiare aspetto identificativo curato nel dettaglio dinamico e ritmico frutto dell'intensa ed approfondita lettura da parte del M° Kazuki Yamada il quale non si è limitato ad un dialogo proficuo con il palcoscenico, ma ha voluto qualcosa di più... emozionare e pennellare ogni singolo momento con quella vis interpretativa cesellata nel restituire il più intimo significato della più intima nota. Un lusso anche la partecipazione del Coro dell'Opera di Monte-Carlo preparato e diretto dal M° Stefano Visconti impeccabile nelle sue pagine “solistiche” e sicuro appoggio per i momenti concertati: se la prima scena vola sulla restituzione di un intimo e disperato lamento, il coro maschile con il Vecchio ebreo Hymne de joie, hymne de délivrance assume poi un gran senso di pace e di solennità con un suono nitido e ben misurato; diventa invece possente e perentorio nel terzo atto l'aube qui blanchit déjà les coteaux con dinamiche sontuose e penetranti. Non da meno è stato il cast vocale che vede nel ruolo femminile principale di Dalila il mezzosoprano Anita Rachvelishvili che ha seguito proprio quel disegno mirabile indicato dallo stesso compositore; la sua figura cresce mano a mano che il dramma si sviluppa: Printemps qui commence è una pittura di rara finezza dove i colori della sensualità e dei sentimenti d'amore diventano il corollario per un pagina eseguita in maniera quasi paradisiaca. Il grande quadro del secondo atto in cui domina la figura femminile mette in evidenza il suo grande gusto interpretativo che oscilla tra il trasognato e l'ammaliatore; Amour! Viens aider ma faiblesse nuota tra i veli eterei dell'emozione e della passione che si trasforma poi in aggressiva sensualità nel duetto con Samson di cui è punto solenne l'aria conclusiva Mon cœur s'ouvre a ta voix in cui manifesta appieno tutta la sua verve istrionica interpretativa e scenica: voce salda, calda e potente con un ineccepibile signorile fraseggio. Di gran pregio anche la prova di Aleksandrs Antonenko che si è ben difeso nell'impervio ruolo di Samson; se un piccolo cedimento si è notato nel finale del secondo atto, in tutto il resto dell'opera l'artista ha sempre dimostrato un grande carattere e una forte personalità nel delineare l'eroe ebreo; l'intenzione vocale sempre ben si attaglia alle esigenze della partitura ed emerge un senso di commozione e di pathos nell'ascoltare la sua interpretazione: il terzo atto è quello in cui i sentimenti di tristezza e desolazione dell'anima si esplicitano in un canto appassionato e sentito sin nelle viscere con godimento pieno del suo bel timbro e la piena consapevolezza del ruolo. Ieratico e incisivo anche André Heyboer nel ruolo de Le Grand Prêtre de Dagon che si è messo in evidenza per una vocalità solida e penetrante nei meandri della durezza del personaggio. Elegiaco ed elegante anche Un vieillard hébreu per voce di Nicolas Courjal la cui emissione è sempre a fuoco con ottima proiezione e grande intelligibilità della parola scenica che trova sempre pieno significato nel suo canto attento e partecipato. Note positive anche per Julien Véronèse nei panni di Abimélech, satrape de Gaza: voce scura e rotonda per affrontare la grande e impegnativa pagina Qui donc élève ici la voix.
Completano il cast tre bravissimi interpreti nei ruoli di fianco: Frédéric Diquero (Un messager philistin), Marc Larcher (Permier Philistin) e Frédéric Caton (Second Philistin). Un pubblico in delirio ha salutato tutti i musicisti impegnati in questa grande produzione con un'enfasi particolare per il mezzosoprano georgiano che è stata letteralmente ricoperta di ovazioni particolarmente sonore.
Crediti fotografici: Alain Hanel per il Teatro dell'Opèra di Monte-Carlo Nella miniatura in alto: il mezzosoprano Anita Rachvelishvili (Dalila) Sotto in sequenza: ancora la Rachvelishvili; Aleksandrs Antonenko (Samson); Julien Véronèse (Abimélech) Al centro e in fondo: due istantanee di Alain Hanel su scene e costumi dell'allestimento monegasco
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Ecco la stagione 2024 del Filarmonico
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