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L'opera capolavoro di Richard Strauss lascia la Grecia antica e approda nella Germania pre-nazista

Elektra nella Repubblica di Weimar

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 23 Marzo 2025

20250323_Vr_00_Elektra_scena_111x111_phEnneviFotoVERONA – Nei fermenti intellettuali dei primi anni del Novecento, quando le teorie di Sigmund Freud e gli studi sull'isteria e sull'inconscio scuotevano le fondamenta del pensiero occidentale, il mito degli Atridi subì una profonda umanizzazione; il letterato e poeta Hugo von Hofmannsthal, reinterpretando la leggenda mitologica in chiave psicoanalitica, fece da tramite per una visione inedita del "complesso di Elettra" – definito dallo stesso Freud come l’equivalente femminile del complesso di Edipo – trasformando il dramma in una metafora delle tensioni interiori e sociali di un'epoca in transizione.
In questo contesto la recente messa in scena di Elektra di Richard Strauss, nella regia di Yamal das Irmich, emerge come un audace connubio tra innovazione registica e profonda analisi psicologica. Ambientata nella tumultuosa Repubblica di Weimar (Germania, 1918-1933), la produzione non si limita a ricostruire un periodo storico ma lo trasforma in un palcoscenico simbolico, dove il conflitto tra vecchio e nuovo ordine diventa il fulcro della narrazione. La regia di Yamal das Irmich, con un acume interpretativo raro e una sensibilità quasi palpabile, si addentra nei meandri dell’animo umano, dando voce a tre figure femminili (Elettra, Crisotemi e Clitennestra) che incarnano percorsi di emancipazione e conflitto interiore.
Clitennestra è la madre di Elettra e Crisotemide, e rappresenta un presente angoscioso e decadente: con la tragica decisione di assassinare il re Agamennone, suo legittimo marito – simbolo dell’autoritarismo maschile – la donna ribelle tenta di imporsi, ma si ritrova prigioniera di una colpa che la consuma, relegandola a una reclusione emotiva in compagnia di chiacchieroni e ciarlatani. Al contrario la figlia Crisotemi incarna il desiderio di evadere da quella prigione di angoscia in cui era precipitata insieme a Elettra: lei è bramosa di un futuro in cui possa non solo costruire una propria famiglia, ma anche incarnare un modello di femminilità autonoma e rinnovata.

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Elettra, infine, resta intrappolata nel dramma del passato: bloccata nel trauma dell'assassinio subito dal padre e nell'ambiguità di un rapporto conflittuale con la madre, la sua ossessione di vendicare la morte di Agamennone la paralizza, confidando che Oreste – il figlio prodigo destinato a compiere il matricidio – si assuma il compito di dare un senso a quella propria tragica isteria e al suo desiderio di vendetta.
La scelta di collocare il dramma nella Repubblica di Weimar non è casuale. Questo scenario, teatro di un’esplosione creativa in cui il mondo femminile, per un breve ma intenso periodo, sfidava l’egemonia maschile, diventa la cornice ideale per testimoniare una transizione di poteri. Qui, tra cabaret e rivoluzioni culturali, la donna si fa protagonista non solo nel canto e nella danza, ma anche in ruoli di imprenditoria e partecipazione politica, sebbene tale potere sia destinato a essere riconfigurato – e in parte smantellato – dall’inevitabile ritorno a un ordine ambivalente.
Sul palcoscenico del Teatro Filarmonico di Verona, dopo ventidue anni di attesa, la visione del regista “trasforma” Elektra in uno studio vibrante delle dinamiche interiori e sociali. Con un uso magistrale di luci e spazi scenici curati rispettivamente da Fiammetta Baldisserri e Alessia Colosso, che oscillano tra il reale e l’onirico, il regista riesce a enfatizzare il conflitto interiore dei personaggi, facendone il fulcro di una narrazione che parla tanto al cuore quanto alla mente. La potenza della musica di Richard Strauss, in perenne vorticoso movimento, sembra incarnare quella ricerca costante di un significato che, pur non giungendo mai a compimento, illumina la tragedia di una famiglia divorata dalle proprie contraddizioni.
Questa rivisitazione, che unisce la sensibilità psicoanalitica alla forza rivoluzionaria di una regia moderna - quando è fatta bene e non diventa pretestuosa -, conferma il potere universale dell’opera di Strauss: Elektra non è solo un omaggio alla tradizione, ma diventa il simbolo di un’epoca in cui le dinamiche di genere e il passaggio dei poteri assumono nuovi significati, parlando direttamente alle inquietudini e alle speranze di un presente in continuo divenire.
La direzione musicale del M° Michael Balke si distingue per la capacità di esaltare ogni sfumatura della partitura straussiana, arricchita dalla nuova orchestrazione di Richard Dünser. Ridurre l'orchestrazione di un capolavoro come Elektra rappresenta una sfida titanica, ma Dünser, con una visione audace e raffinata, riesce a preservare la potenza drammatica e la ricchezza timbrica dell'originale, ridisegnando l'equilibrio sonoro in chiave innovativa.
In questa nuova lettura, la scelta di utilizzare un'orchestra sinfonica di dimensioni standard come ha fatto la Fondazione Arena di Verona – pur mantenendo intatta l'intensità espressiva – consente di cogliere dettagli altrimenti inaccessibili. Particolare attenzione è rivolta alla sezione degli archi, che emerge con una lucentezza quasi palpabile, e agli ottoni, arricchiti da sorprendenti interventi della sordina "a tazza", che donano un colore sonoro inedito e contemporaneo. L'introduzione dell'armonium, poi, apre spazi di suggestione, contribuendo a creare un'atmosfera sospesa, dove il passato si intreccia con il presente in un dialogo costante.

20250323_Vr_07_Elektra_scena_425x297_phEnneviFoto 20250323_Vr_11_Elektra_scena_425x297_phEnneviFoto

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Richard Strauss, con Elektra, aveva già concepito un'opera all'avanguardia, un inno alla modernità che sfida i canoni tradizionali con cromatismi esasperati e una scrittura musicale imponente. Il leitmotiv di Agamennone, una sequenza ossessiva di quattro note, attraversa l'intera composizione, evocando la presenza ineludibile del re del Atridi assassinato; e nel contempo scandisce il senso ineluttabile della tragedia. L'orchestrazione ridotta non solo mantiene la brutalità sonora e la tensione emotiva dell'originale, ma la esalta, rendendo ancora più incisiva la narrazione musicale.
Questa interpretazione, offerta in anteprima in Italia dalla Fondazione Arena, rappresenta un connubio perfetto tra innovazione e rispetto della tradizione. La regia, attenta alla dinamica emotiva dei personaggi, si sposa con la raffinata visione musicale di Balke, creando un palcoscenico in cui ogni strumento racconta una parte della drammatica vicenda degli Atridi. In particolare, la scelta di un'orchestrazione ridotta permette di esaltare i leitmotiv e di mettere in luce le sfumature più intime della scrittura straussiana, offrendo al pubblico un'esperienza d'ascolto intensa e profondamente rivelatrice.
L'interprete femminile di Elektra si impone con una forza vocale e drammatica che definisce il personaggio in modo impeccabile: Lise Lindstrom, scelta di rango per questo personaggio titanico, affronta il ruolo con una determinazione risoluta, mettendo in campo una vocalità piena e costantemente a fuoco, capace di trasmettere un'intensità emotiva che cattura immediatamente l'attenzione dello spettatore. La sua tecnica raffinata le permette di proiettare un canto solido, esaltando ogni sfumatura del testo musicale e dando vita a momenti di intesa profonda che sottolineano il grande appeal del personaggio. La sua presenza scenica, unita a una capacità esecutiva magistrale, conferisce al dramma una dimensione quasi palpabile, rendendo ogni nota un inno alla potenza espressiva della voce.
Parallelamente, Anna Maria Chiuri, nel ruolo di Clitennestra, si distingue per un'interpretazione che va oltre i canoni tradizionali, offrendo una lettura attualizzata e personale del personaggio. La sua modulazione vocale è impeccabile, capace di scendere con naturalezza nei registri più intensi e drammatici, con una coerenza timbrica che pervade ogni rigo musicale. In questo modo, l'interpretazione trasforma il tormento interiore della madre assassina in un'esperienza emotiva profondamente coinvolgente, che riesce a comunicare con efficacia la complessità e la fragilità del personaggio, confermandosi come interprete eccelsa e di rara profondità.
Infine, Soula Parassidis, affidata al ruolo di Crisotemi, offre una performance che, seppur meno incisiva rispetto alle sue colleghe, denota una notevole potenzialità vocale. La sua esecuzione presenta una tendenza a "gonfiare" la prima ottava rendendo poi alcuni passaggi in acuto con un vibrato eccessivo e ne risultano intaccati la linearità e l'autorevolezza. Tale caratteristica, pur conferendo un'impronta personale, evidenzia un margine di affinamento necessario per sostenere pienamente la complessità emotiva del personaggio.
Nel debutto veronese del baritono Thomas Tatzl, per il ruolo di Oreste, si riscontra una prestazione solida, sebbene la sua voce, pur ben equilibrata, manifesti un eccessivo vibrato nella zona acuta che in alcuni passaggi ne intacca la chiarezza.
Al contempo, il tenore Peter Tantsits, che interpreta Egisto, emerge come un interprete sopraffino, capace di donare alla narrazione musicale sfumature vocali di grande raffinatezza ed espressività.
A completare il folto ensemble, si affiancano numerosi giovani artisti emergenti sulla scena internazionale: Nicolò Donini, nel ruolo del Precettore; Anna Cimmarrusti, Confidente attenta e incisiva; Veronica Marini, nel ruolo di Caudataria; Leonardo Cortellazzi e Stefano Rinaldi Miliani, entrambi nei panni dei Servi; Raffaela Lintl, nel ruolo della Sorvegliante; e infine, Lucia Cervoni, Marzia Marzo, Anna Werle, Francesca Maionchi e Manuela Cucuccio, che, con la loro presenza tra le Ancelle, arricchiscono ulteriormente il quadro scenico.
Le voci fuori scena, che rappresentano i Servi e la Corte di Micene, sono affidate al Coro di Fondazione Arena di Verona, diretto dal M° Roberto Gabbiani, la cui resa aggiunge un ulteriore livello di profondità e suggestione all’intera produzione.
In conclusione, questa messa in scena dell'Elektra di Richard Strauss dimostra come l’opera di questo compositore possa ancora parlare con forza al pubblico contemporaneo. La rilettura ambientata nella Repubblica di Weimar e l’orchestrazione rinnovata arricchiscono il dramma senza tradirne l’essenza.

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La direzione incisiva e le interpretazioni vocali di grande livello contribuiscono a un’esperienza teatrale intensa e coinvolgente. Una produzione che non solo omaggia la tradizione, ma la riletta con intelligenza, confermando il potere universale dell’opera di Strauss.
Sala poco affollata ma generosa negli applausi, in un venerdì di inizio primavera.
(La recensione si riferisce alla recita del 21 marzo 2025)

Crediti fotografici: Ennevi Foto per il Teatro Filarmonico-Fondazione Arena di Verona
Nella  miniatura in alto: il soprano
Lise Lindstrom (Elektra)
Al centro e sotto, in sequenza: primi piani e campo lunghi di Ennevi Foto sui protagonisti e sull'allestimento veronese
 






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Danae di rara opulenza
servizio di Simone Tomei FREE

20250417_Ge_00_DieLiebeDerDanae_AngelaMeadeGENOVA - In un panorama operistico spesso dominato da titoli consolidati, emerge con prepotente originalità la produzione di Die Liebe der Danae, Op. 83 di Richard Strauss al Teatro Carlo Felice di Genova. Quest'opera, lungi dall'essere un mero reperto archeologico, si rivela un'esplorazione complessa e affascinante delle dicotomie umane, incastonata
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