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L'opera meno conosciuta di Bellini ha successo a Genova in un allestimento avveniristico |
Bianca e Fernando secondo de Ana |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 21 Novembre 2021 |
GENOVA - L’opera dal titolo originario Bianca e Fernando di Vincenzo Bellini ebbe il suo debutto al Teatro San Carlo di Napoli il 30 maggio del 1826, ma per un riguardo al principe Ferdinando di Borbone fu cambiata in Bianca e Gernando. Essa nacque sul soggetto tratto dal dramma di Carlo Roti - Bianca e Fernando alla tomba di Carlo IV, duca d’Agrigento - pubblicato nella città partenopea nel 1825. Bellini volle che il libretto fosse steso dal poeta Gilardoni il quale, neofita nel genere operistico, produsse un lavoro più letterale che teatrale. Passarono due anni dal successo del debutto ed ecco che il compositore siciliano venne scelto per la storica inaugurazione del Teatro Carlo Felice di Genova il 7 aprile 1828 della quale così narrano le cronache del tempo: “alla presenza de’ reali sabaudi, tra il giubilo e l’ammirazione de’ cittadini e de’ molti forestieri tratti a Genova da così splendida festa”. Fu il genovese Felice Romani a creare i presupposti per una renaissance musicale cittadina mettendo quasi in competizione tra loro i maggiori operisti del tempo. Vincenzo Bellini fu il primo a rispondere a questa sollecitazione; rimettendo mano alla partitura originaria e, giovandosi degli interventi drammaturgici dello stesso Romani, revisionò la versione napoletana. Il titolo venne cambiato in quello che fu in origine: Bianca e Fernando. Nel 2021, la prima esecuzione moderna dell’opera, ci ha dato la possibilità di ascoltare preziose pagine che si credevano andate perdute, tra cui l’allegro in re maggiore che integra la breve sinfonia di apertura originaria - di cui dice bellini: un brano tirato ad una maniera nuovissima - e di arie d’opera citate da Bellini nella sua corrispondenza epistolare. Tutto ciò è stato il frutto di un capillare lavoro di ricerca promosso dalla Fondazione Teatro Carlo Felice nell’ambito del progetto Civiltà musicale genovese, realizzato in collaborazione con il Centro Studi belliniani e la Fondazione Bellini di Catania sotto il coordinamento della musicologa Graziella Seminara, specialista del compositore e prossima curatrice della partitura per lezione critica nazionale delle opere di Vincenzo Bellini. La città di Genova non è stata da meno per favorire il ritrovamento di alcuni importanti materiali rinvenuti nel Museo del Risorgimento e nella biblioteca del conservatorio Niccolò Paganini. L’entusiasmo di Bellini del 1828 si può evincere da una lettera all’amico Florimo in cui scriveva: “Iersera fu l’ultima prova piena e questa sera sarà la generale. I pezzi, su cui spero, sono le tre cavatine e il finale del primo atto e il duetto e le due scene del secondo; e specialmente la scena della Tosi è d’un effetto indicibile; il primo tempo formato da un largo, il secondo dall’agitato che sai e il terzo da una cabaletta che è d’un brillante declamato che trasporta: in una parola non faremo fiasco certo… Iersera il duetto ha fatto piangere quante persone v’erano”
Ed entusiasmo è stato anche per me che ho ascoltato per la prima volta questo componimento per motivi diversi. Partirei dall’allestimento del regista Hugo de Ana che ha curato anche le scene ed i costumi illuminati dalle mani di Valerio Alfieri. L’ambientazione porta a far riflettere sulle contrapposizioni del mondo - o meglio delle idee - partendo “sembra” dall’antitesi tra coloro che seguivano la teoria copernicana e i detrattori della stessa: geocentristi, contro eliocentristi. Il tutto mi è parso suffragato da elementi scenici che hanno avallato questa visione: pianeti che ruotano sul palcoscenico, l’indottrinamento al vecchio pensiero dell’infante di Bianca, una grande semisfera sul fondale del palcoscenico regno di coloro che professano la nuova verità, in cui pende la sfera armillare. Ottima la scelta di connotare le due fazioni con colori netti quali il bianco - per gli eliocentristi - ed il nero - per i geocentristi - che rende ancor più nitida questa contrapposizione. Sublime inoltre la scena del secondo atto nella quale Bianca, che ha scelto di sposare Filippo ignara delle sue losche trame, riflette sulla scelta fatta in un ambiente decaduto in cui un pianoforte a coda in “verticale” pare voler mettere in evidenza un mondo sull’orlo della rovina. È da qua che sono emerse nella mia mente alcune riflessioni che mi hanno indotto ad una lettura - o se vogliamo interpretazione - più attuale dell’idea registica. Qualunque contrapposizione di idee, di punti di vista, di schieramenti, se compiuti con fare violento, supponente e arrogante, non possono avere come epilogo che quello della distruzione e del disfacimento. Il parallelo con l’oggi è quasi automatico; siamo in un momento in cui le divisioni di vedute sono più forti della voglia di mettersi a confronto per trovare un punto di convergenza: destra vs sinistra, vax vs novax, famiglia tradizionale vs famiglia allargata, accoglienza vs respingimento, immobilisti vs progressisti e via dicendo. Ognuno avrà sicuramente delle ragioni da addurre, ma spesso è proprio la parte più debole che - come il Filippo della situazione - ha bisogno della forza, dell’arroganza e spesso di un populismo becero per far prevalere il proprio punto di vista a discapito, sovente, del bene comune. E la fine non può essere che quella della decadenza e dell’oblio della società cui apparteniamo; decadenza ed oblio in cui si trova Bianca per aver “sposato” la teoria più debole ed ormai palesemente sorpassata. Nella vicenda operistica però, non è tutto perduto perché il lieto fine non manca a pro del trionfo della nuova visione eliocentrica. Ed oggi? Confido anche per noi un lieto fine con lo scopo di appagare la necessità di salvaguardare e proteggere il bene comune universale. Venendo alla musica, il M° Donato Renzetti ha condotto con mano ferma i complessi orchestrali della Fondazione genovese impartendo guizzo e brio alla complessa partitura; a detta di molti Bianca e Fernando non appare un gran capolavoro, ma io non la penso così. Vi sono pagine a cominciare dall’”Allegro ritrovato” della Sinfonia che brillano per colori smaglianti, vivaci e ottimamente eseguiti; non sono da meno altri momenti - sia primigeni, sia scritti per la prima genovese del 1828 - che l’abilità del concertatore ha ben attagliato sulle voci senza mai sovrastarle, anzi, ha saputo creare quel sicuro accompagnamento su cui hanno potuto egregiamente brillare. Ottima la prestazione del Coro, relegato nella parte alta della sfera guidato dal M° Francesco Aliberti; intenso ed efficace nelle interazioni con i solisti, emozionante nella stupenda pagina del secondo atto Tutti siam più conosciuto attraverso la sua parodia Non partì della Norma; eleganti chiaroscuri dovuti alle modulazioni, si intrecciano a pochi contrasti in forte che non fanno altro che esaltare un costante piano ricco di suggestioni. Vediamo i cast delle due recite che ho seguito.
Sabato 20 novembre 2021 (Cast alternativo) Francesca Tiburzi affronta il ruolo di Bianca con grande ardore e partecipazione; la sua voce da soprano drammatico di agilità si confà bene alla parte risultando sempre convincente e partecipe. L’emissione salda non le impedisce di brillare nella zona più impervia del rigo musicale dimostrando grande tenuta e soprattutto una impeccabile intonazione. Nello struggente quadro del secondo atto, l’interprete dona al carattere della protagonista quel senso di angoscia, languore e disperazione tipico delle più belle pagine belliniane in cui si è dimostrata grande attrice ed interprete musicale. Fernando è il tenore David Ferri Durà che non teme gli impervi acuti cui lo impegna il compositore sin dall’aria di sortita nella quale deve affrontare un rocambolesco fa acuto. La sua aria più struggente è senza dubbio quella del secondo atto All’udir del padre afflitto/odio il tuo pianto, o padre dove mette in luce un legato piuttosto curato; qui le figure puntate sembrano rappresentare le vibrazioni di un cuore afflitto e l’intento dell’autore è stato pienamente soddisfatto dal suo interprete. Qualche suono talvolta risulta meno a fuoco soprattutto nella zona del passaggio, ma la parte è ostica e talun peccato veniale può essere perdonato. Il baritono Simon Lim affronta la parte di Filippo con alterigia e scaltrezza; ruolo che non perdona per la doppia necessità di un canto spianato nei cantabili e vorticose agilità nelle cabalette. La sua voce è sonora, ben proiettata e nitida nella dizione. Un grande Carlo è quello del basso Francesco Leone; anche qui si può elogiare l’interprete per una qualità vocale di lusso in cui la brillantezza del suono non inficia la drammaticità del momento, anzi la esalta di colori e di emozioni. Nei ruoli di fianco hanno saputo tutti farsi apprezzare: Clemente è un risoluto Giovanni Battista Parodi, il Viscardo - ruolo en travesti - di Elena Belfiore emana sicurezza e brio, l’ Eloisa di Carlotta Vichi brilla per morbidezza vocale e fascino; corretto l’Uggero di Renato Parachinetto.
Domenica 21 novembre 2021 (primo cast) Nel ruolo eponimo femminile Salome Jicia affronta la parte con una vocalità più incline ad una liricità più spianata che ad un approccio drammatico; il risultato è comunque eccellente in quanto la nitidezza vocale e l’impeto più ruggente nulla tolgono alle peculiarità del personaggio che emerge e trova pienamente anche qui una sua precisa identità. Voce sicuramente più argentina e “leggera” rispetto all’interprete di Fernando del giorno precedente quella del tenore Giorgio Misseri; se la capacità di esecuzione degli acuti e sovracuti non è messa in discussione, talvolta ho avuto l’impressione che emergesse qualche imprecisione dal punto di vista dell’intonazione soprattutto nel secondo atto; la parte è accidentata ed anche qui è necessario comprendere qualche piccolo deragliamento che nulla toglie ad una prova davvero maiuscola. L’esperienza vocale di Nicola Ulivieri (Filippo) ha lottato e vinto con un rigo musicale tremendamente ostico; ha superato le impervie ascese agli acuti con grinta e determinazione, passando per suadenti cantabili e vorticose agilità con una nitidezza di dizione e vocalità sempre inappuntabilmente a fuoco. Ottimo anche il Carlo di Alessio Cacciamani il cui timbro vocale è davvero un piacere per l’orecchio. Rimangono invariati gli altri interpreti ad eccezione di Antonio Mannarino nei panni di un puntuale Uggero. In entrambe le recite aleggia solo la nota dolente della presenza di un pubblico molto esiguo rispetto alle possibilità di accoglienza del Teatro; pubblico che non ha fatto comunque mancare il suo “contento” con fragorosi applausi a sipario aperto ed alla fine.
Crediti fotografici: Ufficio stampa Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova Nella miniatura in alto: il maestro Donato Renzetti Sotto: belle panoramiche sull'allestimento genovese
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