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Al di sotto delle aspettative al Giglio la realizzazione dell'opera-simbolo di Gaetano Donizetti

Un po' troppo scolastica la Lucia...

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 23 Febbraio 2019

190223_Lu_00_LuciaDiLammermoor_SarahBaratta_phAndreaSimiLUCCA - Il Teatro del Giglio di Lucca prosegue la sua programmazione stagionale con la messa in scena della Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti in un allestimento coprodotto con il Teatro di Pisa e con l'Opéra Nice Côte d'Azur.
"… Fin dalla prima scena suscitò entusiasmo. Prendeva Lucia fra le braccia, la lasciava, tornava vicino a lei, sembrava disperato: aveva accessi di collera seguiti da sospiri elegiaci di una dolcezza infinita e le note sfuggivano dalla gola nuda piene di singhiozzi e di baci. Emma si protendeva per vederlo, graffiando con le unghie il velluto del palco. Si riempiva il cuore con questi melodiosi lamenti che si trascinavano sull’accompagnamento dei contrabbassi come grida di naufraghi nel tumulto di una tempesta. Riconosceva tutte le prostrazioni e le angosce che per poco non l’avevano fatta morire. La voce della cantante era per lei soltanto l’eco della propria coscienza, e l’illusione scenica che l’affascinava le sembrava addirittura qualcosa della sua vita. Mai nessuno al mondo l’aveva amata di un amore simile; il suo amante non piangeva come Edgardo, l’ultima sera al chiaro di luna, quando si erano detti: “A domani, a domani!…" (Gustave Flaubert, Madame Bovary, parte II, capitolo XV).
Vorrei aver provato le stesse emozioni di Emma Bovary il 22 febbraio 2019, ma non ci sono stati motivi per uscire contenti da questa serata a Teatro; anche il pubblico, freddo e piuttosto irretito per tutta la serata, ha sfogato il suo scontento alla fine dell'esecuzione riservando un tiepido saluto a tutto l'aspetto musicale ed elevando un dissenso pacato, ma deciso alla volta della squadra che ha curato l'aspetto visivo.
Sono personalmente contrario ai "buuh" ed in generale alle manifestazioni becere e "piazzaiole" in quanto credo che il silenzio sia la migliore arma di contestazione, ma questo è ciò che realmente è accaduto; in effetti, a mio avviso, il motto per riassumere questa serata potrebbe essere nulla da vedere, poco da sentire.
La regia (curata da Stefano Vizioli) è stata la grande assente della serata ed è stata volta a muovere i protagonisti e le masse in maniera piuttosto sempliciotta e poco partecipe, non distante dall'idea di una esecuzione in forma di concerto, o al massimo semiscenica; i costumi di Farani-Sartoria Teatrale e Sartoria Teatrale Fiorentina di Massimo Poli, non hanno sicuramente aiutato a delineare i personaggi e la scenografia (realizzata su bozzetti di Allen Moyer), composta esclusivamente da una grossa scatola che cambiava d'uso a seconda dell'occorrenza, non è riuscita a farci calare nella dimensione del libretto e del dramma.
Unico pregio il gioco di luci curato da Michele Della Mea che in un'atmosfera tendenzialmente cupa ha saputo regalare qualche momento di visione meno opprimente ed anonimo.
Proprio i movimenti, ma soprattutto il collocamento degli interpreti non hanno per nulla giovato al canto che spesso è risultato inficiato da una distanza troppo esagerata dal proscenio e con la struttura scenica che, a causa della sua apertura verso l'interno del palcoscenico, non favoriva la naturale esplosione del suono in platea. Di poco effetto anche l'interazione fra i personaggi che, al di là di una "scena della pazzia" abbastanza credibile, si sono spesso confrontati tra loro in relazioni superficiali che non andavano oltre l’esibizione di una recitazione scolastica.
Il versante musicale in generale non ha offerto grandi momenti idilliaci a partire dalla buca dove l'Orchestra della Toscana diretta dal M° Michael Güttler non ha restituito l'essenza di uno spartito che porta in sé momenti di raffinato lirismo; l'approccio direttoriale si è concretizzato in dinamiche poco curate e in tempi tendenzialmente strascicati, ma soprattutto in una lettura complessiva che non ha saputo tradurre le sensazioni e gli stati d'animo dei personaggi e del dramma: quasi che tutta l'opera fosse legata da un unico filo conduttore che si concretizza nei concetti del discontinuo, superficiale e confusionario.

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Non male la Glass Harmonica di Sascha Reckert, usata per la grande scena della pazzia di Lucia; a mio avviso l'unico momento, un po' per suggestività un po' per tecnica, in cui si è percepita la particolarità e l'unicità di una musica che richiede molta  più attenzione rispetto a quanto ascoltato in questa serata di febbraio.
Venendo al cast: Lucia non può essere eseguita senza "Lucia" e l'impegno canoro di Sarah Baratta non è stato all'altezza di un ruolo così impegnativo; al di là di sbavature nella zona più estrema, sin dalla prima aria di sortita, con suoni talvolta poco puliti fino alla rottura degli stessi, il tutto è si è risolto in un canto piuttosto appannato con momenti di labile intonazione ed una lettura musicale scolastica; poche le emozioni trasmesse, ma nella scena della pazzia, ancorché non eseguito il sovracuto della cadenza, si è un po' riscattata per una resa nel complesso accettabile anche se... tutto ciò non basta ed ormai eravamo fuori tempo massimo; il prologo ed il primo atto sono parte integrante dell'opera e non possono essere risolti in tal guisa.
Nel linguaggio tecnico si usa spesso la parola "accennare" allorché un interprete durante le prove musicali canta senza impiegare la voce con le giuste intensità allo scopo di risparmiarsi in vista delle prove più impegnative che si avvicinano al debutto; venerdì sera non era però una serata di prove, bensì una recita con il pubblico pagante e tutti avremmo voluto sentire nitidamente la voce e la melodia di Sir Edgardo di Ravenswood interpretato dal tenore Alessandro Luciano; unica cosa che possiamo dire della sua vocalità: non pervenuta. Per oltre tre quarti del suo impegno il canto è stato appannaggio di un'emissione flebile e quasi impercettibile; i pochi acuti, taluni eseguiti di forza e talaltri di falsetto, con una buona dose di insicurezza e asperità, hanno certamente cesellato una prova non più che mediocre.
Meglio Alessandro Luongo nel ruolo di Lord Enrico Ashton che si è riscattato per un canto piuttosto morbido, tendenzialmente incline alla cura del fraseggio e ad un discreto portamento scenico risultando abbastanza credibile pur nella pochezza della regia.
Note piacevoli anche per Andrea Comelli nei panni di Raimondo Bidebent; canto elegante nonostante qualche nota acuta un po' opaca, ma nel complesso una bella prova inficiata solo da un approccio recitativo piuttosto anonimo e slegato dal contesto drammaturgico. Carlos Natale nei panni di Lord Arturo Bucklaw ha restituito la parte con suono gutturale e profondamente "indietro" mettendo in luce soltanto la spinta con poca resa sonora.

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Didier Pieri quale Normanno è risultato corretto e preciso negli interventi, ma è stato penalizzato anch'esso dalla collocazione sul palcoscenico, soprattutto nel momento iniziale, che ha fatto perdere l'essenza della linea di canto sovrastata dall’orchestra e assorbita dalla scatola scenica.
Completava il cast una puntuale Valeria Tornatore nei panni di Alisa.
Un elogio a parte per il Coro Ars Lyrica preparato e diretto dal M° Marco Bargagna elegante e preciso nei suoi interventi con bella proiezione di suono ed un canto a tratti commovente come il momento della scena che precede la follia di Lucia in concertato con Raimondo Bidebent. Dell’epilogo già ho detto... ad maiora con speranza di riscatto.

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Crediti fotografici: Andrea Simi per il Teatro del Giglio di Lucca
Nella miniatura in alto: la protagonista Sarah Baratta (Lucia)






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