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In scena al Teatro Abbado la terza opera di Giuseppe Verdi con un addentellato in cronaca

E Nabucco scacciō il serpente

servizio di Athos Tromboni

Pubblicato il 12 Gennaio 2019

190112_Fe_00_Nabucco_SerbanVasile_phZaniCasadioFERRARA - Boa o non Boa in scena, il Nabucco proposto dalla regista Cristina Mazzavillani Muti ha incontrato il pieno favore del pubblico ferrarese. Prima di affrontare la recensione dello spettacolo, dobbiamo spiegare (ai nostri lettori di tutta Italia i quali, ovviamente, non possono usufruire delle notizie di cronaca locale) che la produzione dell'opera verdiana aveva realizzato a Ravenna, previa autorizzazione delle autorità competenti, una scena (quella - inventata registicamente - che mostra la lascivia di Abigaille una volta incarcerato Nabucco impazzito, e proclamatasi regina d'Assiria) dove un Boa Constrictor vero, cioè un serpente in squame e vertebre, doveva partecipare al baccanale. Niet! Gli animalisti di Ferrara hanno protestato e trovato sponda nel competente Assessorato comunale al punto che in una nota diramata dal Comune si puntualizzava che a differenza di quanto precedentemente richiesto dalla produzione e autorizzato, "non verrà utilizzato alcun animale in scena per evitare situazioni di stress o eventuale pericolo per la salute degli animali stessi".
Nessun dramma, né polemica, da parte della produzione, il Boa Constrictor è stato costretto ad andarsene a casa o a rimanere nella teca di cristallo e così non ha assaporato l'ebbrezza del palcoscenico ferrarese, casomai gliene fosse fregato qualcosa.
Ma il punto è un altro... Che fu? Un'ingerenza nella libera creatività dell'artista? Una censura "etica" prima che estetica? Sarà anche per questo che la regista, al termine dello spettacolo nel Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, quando il pubblico applaudiva calorosamente tutto il cast, compreso il direttore d'orchestra Alessandro Benigni e il direttore del coro Martino Faggiani, non ha voluto uscire in proscenio (nonostante la mano invan tesa dal baritono Serban Vasile interprete di Nabucco) ad accogliere i meritati consensi. Ora, privare d'ufficio di una seppur fugace invenzione scenica la produzione ravennate, ha lo stesso valore più realistico che simbolico di mettere le mutandine, seppur trasparenti, ai nudi michelangioleschi della Cappella Sistina. Lo stesso valore. Più realistico che simbolico. E apre una porta, forse cara agli animalisti, forse giusta (non vogliamo giudicare), di proibire il cavalli in scena all'Arena di Verona durante la marcia trionfale dell'Aida, di proibire le galline nelle recite filologiche dell'Elisir d'amore a Bergamo, di proibire le capre nella Sonnambula, o i somarelli e le tortorelle nelle operette come L'acqua cheta e Cin-Ci-Là.

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E ora parliamo dello spettacolo: la serata si era aperta più che positivamente, con il teatro gremito, salvo qualche palco laterale del loggione da dove si può ascoltare, certamente, ma nulla vedere. L'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini è apparsa in gran forma fin dal primo colpo di bacchetta della Sinfonia iniziale, preceduta (come tutti i successivi inizi d'atto) da rumori quali voci del caos, rumori di note gravi e tono pesante, diffusi dalle casse acustiche sospese sul palcoscenico e realizzati dal sound-designer Alessandro Baldessari: nulla di inopportuno o disdicevole, non una trasgressione delle trame del librettista Temistocle Solera, quanto piuttosto un'aggiunta complementare fonico-scenografica della durata di poche manciate di secondi, e una sottolineatura espressiva (anche questa inventata) dei temi verdiani già contenuti nella musica fin dalla Sinfonia.
Poi le luci e le proiezioni di un mago dell'illuminotecnica come Vincent Lounguemare e di un creativo visual-designer come Davide Broccoli, che utilizzano le quintine nere e il fondale in funzione di schermi per disegnare prima le austere architetture del tempio di Gerusalemme, poi le sale ricche e coloratissime della reggia di Babilonia, dove Solera ambientò la vicenda. In più i bellissimi costumi d'epoca di Alessandro Lai, costumi non episodicamente ma sistematicamente (nei mantelli e nei copricapo) richiamanti i geroglifici e gli ideogrammi d'ornamento dei palazzi e delle sale proiettati da Lounguemare e Broccoli, o come atmosfera incombente sulla valle rannuvolata e cupa nella scena-clou del Va' pensiero sull'ali dorate: tutto sotto la consulenza di Paolo Miccichè. Non c'è che dire, uno staff di pregevole livello, guidato dalla Mazzavillani Muti.

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Il direttore Alessandro Benigni ha tenuto costantemente sotto osservazione il palcoscenico, dedicandosi con molta attenzione ai cantanti e al rapporto fra strumentale e canto. Equilibrata, dal punto di vista dei volumi sonori, la sua direzione; forse un po' troppo accelerata nei momenti concitati della musica, al punto che un paio di fuori-tempo del coro e dei solisti si sono chiaramente uditi. Con una parafrasi d'atletica si potrebbe dire: corri corri, puoi cannare anche la partenza, ma poi nel corso della "gara" rientri in gara e vinci. Così è stato... perché il Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini diretto da Faggiani (con la collaborazione anche di Massimo Fiocchi Malaspina) è stato il miglior protagonista della serata: possente quando necessario, morbido e soave quando richiesto, ha svolto egregiamente il compito spettante.
Per quanto concerne gli interpreti, maiuscola è stata la prova del baritono Serban Vasile nel ruolo eponimo: ottimo cantante e bravo attore, ha reso un Nabucco possente nell'ira e nella tracotanza e supplicante e impietosito nella sventura. Senza mai un calo di tensione drammatica o di incertezza vocale.
Brava anche Alessandra Gioia nel ruolo di Abigaille: il primo atto è risultato ben cantato, ma l'artista ha accusato un repentino calo di voce nel secondo atto, tanto che nell'intervallo fra il secondo e terzo atto ha fatto annunciare pubblicamente le proprie scuse al pubblico impegnandosi a continuare comunque la recita: il calo di voce si è manifestato nella zona grave del registro, quasi completamente afona, mentre nel medio e nell'acuto, soprattutto se spinto, la voce è uscita in maniera soddisfacente per la vocalità (terribile) richiesta da Verdi per il ruolo.
Il migliore dei solisti è parso comunque il basso Evgeny Stavinsky (nel ruolo del pontefice degli ebrei, Zaccaria) dalle belle risonanze in tutta la gamma del registro, al punto da risultare meritatamente il più applaudito dal pubblico.

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Bene anche gli altri, dallo squillante tenore Riccardo Rados (Ismaele), alla convincente mezzosoprano Lucyna Jarzabek (Fenena), ai bravi comprimari Giacomo Leone (Abdallo), Renata Campanella (Anna), Ion Stancu (Gran Sacerdote di Belo).
Un plauso anche ai "DanzActori" inventati dalla Mazzavillani Muti per le Trilogie d'autunno del Teatro Alighieri di Ravenna: affiancati al pregevole caratterista Ivan Merlo nel ruolo di Un Levita, hanno mimato e recitato Alessandro Bartolini, Martina Cicognani, Francesca De Lorenzi, Ivan Gessaroli, Onico Giannetta, Mirco Guerrini, Giorgia Massaro, Martina Mattarozzi, Chiara Nicastro e Lorenzo Felice Tassiello.
Applausi meritati e ovazioni gratificanti per tutti e... per quanto ci riguarda, anche al Boa Constrictor costretto al forfait.

Crediti fotografici: Zani-Casadio per il Teatro Alighieri di Ravenna e il Teatro Abbado di Ferrara
Nella miniatura in alto: il baritono Serban Vasile (Nabucco)
Al centro in sequenza: la scena permessa a Ravenna con Abigaille e il serpente Boa Constrictor, eliminata a Ferrara
Sotto: l'entrata in scena di Abigaille (Alessandra Gioia)
In fondo: l'entrata in scena di Nabucco (Serban Vasile) sul cavallo (di legno)






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