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Ottimo cast ed eccellente direzione d'orchestra suggellano una serata trionfale nel Regio di Parma

Grande Boccanegra anche in concerto

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 17 Ottobre 2021

20211017_Pr_00_SimonBoccanegra_IgorGolovatenko_phRobertoRicciPARMA - Prima di parlare del Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi al Teatro Regio di Parma  nell’ambito del XXI Festiva Verdi, vorrei riproporvi un superbo “monologo” di Giorgio Strehler che narra le proprie impressioni in qualità di regista del celebre allestimento scaligero del 1971: «... Ogni volta che mi succede di parlare del teatro, soprattutto di un fatto al quale ho partecipato direttamente, ogni volta che devo spiegare o introdurre qualcosa, provo una specie di senso di inutilità, perché sono convinto che il teatro, come del resto qualsiasi fatto d’arte, deve spiegarsi da solo, deve farsi capire da se stesso e basta. E anche perché sono sicuro che il pubblico, da solo, è sempre molto più pronto a capire e ad assentire di quello che tanti intellettuali credono con tutti i loro commenti a priori e a posteriori. Se perciò parlo oggi del Simon Boccanegra lo faccio un po’ come un prologo al suo prologo, più che altro rileggendo ad alta voce alcune riflessioni che mi sono servite a suo tempo per iniziare il mio lavoro su quest’opera di Verdi, su questa grande opera di Verdi per molto tempo, per troppo tempo misconosciuta. Forse, la prima cosa che mi ha aiutato a capire meglio questo misterioso Simon Boccanegra è stato il coraggio di accettarlo così com’è, cioè appunto come una cosa piena di mistero. Accettare cioè tutte le imprecisioni del racconto o l’incredibile del racconto, accettare la sua nebulosità prospettica, accettare anche l’incredibile del racconto, azione e storia e politica e vita che ne costituiscono la trama, una trama per certi aspetti forse non raccontabile, anche se è necessario, almeno questa sera, segnare alcuni punti di riferimento all’azione, ma saranno soltanto punti di riferimento, perché il Simon Boccanegra è un grande, complicato, artisticamente ordinato disordine, come la vita insomma, in cui risalta il movimento oscuro della storia, in cui le parti, i partiti o le fazioni si muovono, si contrastano, si dividono, si riuniscono, per poi dividersi ancora, non in una dialettica semplicistica, ma in un continuo scontro complesso, e quasi inafferrabile, in cui gli esseri umani vivono la loro avventura, sia come parti della storia di tutti, ma anche come attori della loro vita privata.

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Ecco, il pubblico e il privato mescolati insieme stretta- mente, la storia da una parte e l’uomo solo dall’altra, sono questi, secondo me, i veri protagonisti, con tutte le loro contraddizioni e le loro incertezze, del Simon Boccanegra. Sono nobili e plebei, ricchi e poveri, ieri come oggi, che si contrastano in una Genova che è una città vera, ma è anche una città d’opera e nel medesimo tempo potrebbe essere anche una specie di palcoscenico ideale della storia di tutti i tempi. Su questo palcoscenico il potere appare al tempo stesso come un punto da raggiungere, ma anche come un prezzo altissimo da pagare. C’è un plebeo, per esempio, innalzato quasi contro il suo volere ad una carica suprema che vive tutte le contraddizioni del potere e che soccombe nel gestire questo pesante potere, che quasi si simbolizza per lui nel grande manto regale che l’avvolge e che egli abbandona, che egli getta via alla fine, prima di morire, quasi per ritrovare se stesso. C’è l’odio, c’è molto odio in quest’opera, come c’è molto amore. C’è un odio antico, un odio duro, un odio fanatico: quello che divide le famiglie, che divide le fazioni, che divide gli uomini e che separa senza speranza due uomini giovani, e poi vecchi, prima che tra di loro riesca a nascere quella meravigliosa pianta che è la pietà, ma nasce quando è troppo tardi. E anche l’amore qui riesce difficile, persino l’amore paterno e filiale, perché i padri e i figli e le figlie non si riconoscono più, non sanno più riconoscersi e quando si riconoscono, si ritrovano, ormai, il loro tempo è passato. C’è anche il faticoso tentativo di dare una vita scenica e plastica ad una democrazia, c’è l’aspirazione vivissima ad una unità nazionale, fu questo, lo sappiamo, un grande sogno di Verdi. E nel Simone c’è la sete e l’orgoglio del potere, ma anche la grande stanchezza e il grande senso di inutilità del potere, la ricerca di una giustizia e quindi anche l’inevitabile incontro con l’ingiustizia, c’è l’amore e c’è la pena.
Insomma, in quest’opera balenante, quasi alla rinfusa, mi sembra che sono racchiuse molte cose della vita che possono parlare ancora a noi uomini d’oggi perché i caratteri dell’avventura umana, nel fondo, non mutano, sono di ieri e di sempre. E poi, al di là di questa storia teatrale, al di là cioè del libretto, c’è qualche cosa che rileva ogni incertezza, che à contorno e carne ad ogni schema, nello slancio impetuoso dell’ispirazione del cuore, e questo qualcosa è la musica. La musica di un Verdi qui quanto mai grande e quanto mai complesso, complesso ma non complicato: i grandi agiscono sempre per rendere più limpidi e comprensibili i fatti che sono più oscuri, sono soltanto i piccoli che intorbidano e complicano le cose. E qui Verdi con la massima perentorietà e con la massima semplicità risolve in musica qualsiasi perplessità, qualsiasi cedimento della parola. Qui Verdi innalza veramente con la musica la storia e i piccoli e i grandi uomini che la fanno ad una misura universale che ancora oggi non può non scuoterci e non commuoverci. Ecco, allora io, regista di teatro, vorrei dire agli altri questa sera di fare alla fine quello che in certe ore di incertezza sulla trama, sulle parole, sulle situazioni drammatiche di quest’opera, come di tutte le opere che ho allestito, ho fatto io: cioè di ascoltare, ascoltare semplicemente, con amore e con umiltà la musica. E, per quanto mi riguarda, ascoltare cercando di far il meno possibile, di disturbare il meno possibile la musica... »

Considero affascinante questa descrizione dell’opera e la rileggo ogni volta che mi accingo a seguirla in teatro. In queste parole si trovano sia l’essenza dell’opera, sia il significato più profondo della musica, delle parole, dei sentimenti. Con questo spirito nel cuore mi sono lasciato trasportare nella visione e nell’ascolto di un capolavoro che sprizza davvero emozioni da ogni singola nota.
La musica è ovunque onomatopeica: richiama tanto la soave brezza marina quanto l’implacabile odio che alberga nel cuore di Fiesco, rende palpabili i sentimenti del protagonista, uomo di pace e “duce” politico (che si divide fra potere di Stato e amore paterno), ed evidenzia le torbide trame di Paolo, per giungere a quel senso di morte che piano piano annienterà la vita del Doge genovese.
Pur mancando nel Regio di Parma la scenografia - in quanto l’esecuzione si è svolta in forma di concerto - il direttore Michele Mariotti non ha affatto tradito questa missione, anzi, l’ha amplificata con una lettura davvero attenta e meditata, non dando per scontato nulla, impreziosendo di carisma e fascino ogni nota di ciascuno strumento con suadenti respiri e concitati affanni.
L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna è stata pronta a recepire le direttive impartite e la tavolozza dei colori si è imperlata come iride incandescente sottolineando con eleganza ogni pagina della partitura.
Questa constatazione di Anselm Gerhard coglie ancor più l’animus dell’opera: «... i melomani più accaniti sono unanimi nel loro giudizio: davanti a Simon Boccanegra non possono trattenersi dal dimostrare il loro entusiasmo. L’amore incondizionato degli affezionati verdiani si spiega probabilmente grazie ai pregi peculiari dell’opera: dopo la vasta revisione del 1881, infatti, la partitura risulta da un lato non meno sfaccettata di quella di Otello, ma dall’altro piena di melodie di immediata cantabilità al pari di quelle di Rigoletto...»
Perché avvenga questo sono indispensabili grandi voci che nella serata del 16 ottobre 2021 si sono dimostrate tali da formare una compagnia di artisti di grandissimo livello.
Igor Golovatenko nel ruolo eponimo è la vera sorpresa della serata; un baritono con un timbro cristallino e nitido che non ha perso in nessuna momento l’opportunità di far emergere le sfaccettature di un uomo diviso tra amore e politica. Un arcobaleno di colori per imprimere i sentimenti dell’amore, della disperazione e dell’ira sempre ben appoggiati su una parola molto nitida - nonostante l’origine russa - ed uno scavo del personaggio davvero approfondito. Le movenze accurate del corpo ed i gesti delle mani hanno sopperito amabilmente alla mancanza di una forma scenica ed il pubblico lo ha premiato con copiose ovazioni. Non fatica negli acuti; e nelle note più gravi ha l’ampiezza necessaria per restituire ogni suono con lucente vivacità. Emozionante la parola Figlia al termine del duetto con Amelia Grimaldi; su quel Fa acuto acuto sono scaturiti con profonda intensità i più grandi sentimenti d'amore.

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Angela Meade nel ruolo di Amelia Grimaldi - in realtà Maria Boccanegra - costruisce ogni frase con cesellata cura; sa gestire le dinamiche sonore trasformandole in sentimenti che ben traspirano dalla sua voce. Come in quest’ora bruna e Vieni a mirar la cerula sono arie che richiedono un canto molto legato a fior di labbra con delle bellissime agilità in acuto che inducono a ricordare note belcantiste effettivamente ben riuscite. Un piccolo neo posso additarlo per un’espressività mimica che spesso rimane in sordina e velata da uno sguardo ed un atteggiamento sempre più attento allo spartito che non al lasciarsi andare ad un’emotività psico-fisica.
Una grande rivelazione è stata l’ascoltare con piacere il Gabriele Adorno di Riccardo Della Siucca; un giovane tenore proveniente dall’accademia de La Scala che si è cimentato in un ruolo non affatto facile riscuotendo un grandissimo successo. La voce nitida e la dizione impeccabile hanno fatto sì che la restituzione di ogni nota fosse sempre in linea con le intenzioni ed i gesti del direttore. Nell’aria di sortita fuori scena Cielo di stelle orbato, ha dimostrato davvero di che pasta era fatto ed ha sigillato con la ceralacca una serata in spolvero con l’aria più drammatica del secondo atto, Sento avvampar nell’anima... cielo pietoso rendila, dove è riuscito a trasmettere fino in fondo il patema d’animo che stava vivendo il suo personaggio.
In una lettera a Giulio Ricordi, Verdi scriveva riferendosi al personaggio di Fiesco: « deve avere una voce d’acciajo » e Michele Pertusi nei panni del “primo basso profondo” - dizione che compare nella locandina del 1857 -, è stato un’altra eccellenza della serata; nel lungo cammino che dal Prologo conduce all’epilogo, ha interpretato le intenzioni del Cigno di Busseto con grande professionalità e consolidato mestiere. Qui troviamo voce, gestualità e “ars scenica” - pur essendo in concerto - di grande lignaggio. Dalle drammatiche note iniziali, agli accenti più brutali legati ai sentimenti di odio, per poi rientrare con inflessioni pacate votate al perdono sul finale del dramma, la voce è andata di pari passo con le emozioni del personaggio, facendoci viaggiare in uyn vero uragano di emozioni.
Intensa e molto accurata l’interpretazione di Sergio Vitale per il ruolo di Paolo Albiani: un prologo in sordina riflessivo e sornione come la sua ricerca bieca del potere; una tempesta di suono nel primo e secondo atto dove le doti di eccellente interprete non hanno faticato ad emergere.
Sicuro e attento ad ogni singolo accento anche Andrea Pellegrini nei panni di Pietro che ha fatto da degna spalla al compare Paolo interpretato da Vitale.
A completamento del cast altri due eccellenti artisti per i ruoli di fianco: Federico Veltri uno nitido e squillante Capitano dei Balestrieri e Alessia Panza quale Ancella di Amelia.
Il Coro del Teatro Comunale di Bologna - preparato e diretto dal M° Gea Garattini Ansini - affacciato ad una balconata emiciclica che sovrastava il palcoscenico, ha restituito una prova davvero intensa riuscendo ad imporsi come “personaggio” in tutti i difficili passaggi. Applausi ed ovazioni per tutti senza riserve.

Crediti fotografici: Roberto Ricci per il Teatro Regio di Parma
Nella miniatura in alto: il baritono Igor Golovatenko eccellente Boccanegra
Sotto in sequenza: Federico Veltri (Capitano dei Balestrieri); Alessia Panza (Ancella di Amelia); Sergio Vitale (Paolo Albiani); Andrea Pellegrini (Pietro); Riccardo Della Sciucca (Gabriele Adorno); Angela Meade (Amelia Grimaldi); Michele Pertusi (Fiesco); Michele Mariotti (direttore)
Al centro: ancora il baritono Igor Golovatenko (Simon Boccanegra)
Sotto: panoramica di Roberto Ricci
 

 






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