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Nostra intervista al soprano veneto che, dopo una bella carriera, č oggi affermata docente di canto

Alessandra Rossi si racconta

a cura di Simone Tomei

Pubblicato il 15 Febbraio 2019

190215_Vr_00_AlessandraRossiVERONA - Piove. Il cielo plumbeo non promette nulla di buono e, nonostante questo, non voglio che l’appuntamento sia rimandato. Ecco quindi che, dopo un viaggio tra le terre di Toscana, Emilia Romagna e Veneto, entro nella città scaligera, parcheggio e solo pochi passi mi separano dalla casa del soprano Alessandra Rossi de Simone. Qui mi attende una illuminante chiacchierata che da questa estate rincorriamo. I reciproci impegni hanno reso difficile la possibilità di trovare un momento pacato ed ottimale per potervi dedicare il tempo necessario, ma la fortunata sorte ha arriso alla nostra tenacia. Dopo aver suonato il campanello, grandi saluti, abbracci sinceri, un caffè, poi… ecco il frutto di tanto desiato momento.

Dove hai incontrato la musica?
La musica e io siamo state sempre in sintonia. Fin da piccola amavo cantare e imparavo subito ciò che ascoltavo, dalle canzoni dello Zecchino d’Oro ai vari brani delle opere in disco che erano in casa. Avevo una vocina estesa e squillante, e già adolescente cantavo come solista della Corale del mio paese (Monselice, in provincia di Padova), che era molto nutrita e impegnata nei vari eventi religiosi e non. Finalmente approdai al Conservatorio, grazie a un suggerimento del direttore del coro, nonché professore di latino, il quale diede a mio padre l’idea di farmi ascoltare dalla professoressa Rognoni, stimatissima docente di canto al Conservatorio di Padova, che intuì le mie qualità e la mia buona predisposizione. Iniziai così, all’età di quattordici anni (contemporaneamente al Liceo Classico), a studiare seriamente musica: furono anni di formazione importanti.
Come e quanto ti ha cambiato lo studio del canto?
La musica mi ha dato sempre molta gioia. Anche se dovevo affrontare duri sacrifici per studiare contemporaneamente sia al Conservatorio, sia al Liceo; quando entravo al Conservatorio venivo avvolta dalle note di chi studiava violino, pianoforte o canto e mi sentivo subito nel mio elemento naturale.
Siamo al momento in cui inizia la tua carriera artistica… e poi arriva Bruno de Simone. Ce ne vuoi parlare?
L’amore per la Musica ci ha fatto conoscere e ci ha legato per tanti anni, come un filo invisibile. I miei esordi come cantante cominciarono molto presto. Non avevo ancora terminato il ciclo di studi che venni ascoltata da un direttore d’orchestra di Rovigo, il quale mi invitò a cantare come protagonista ne Il mondo della luna di Baldassare Galuppi con professionisti del calibro di Bianca Maria Casoni e Carlo Gaifa, di cui conservo un meraviglioso ricordo. Il debutto ufficiale arrivò a Spoleto nel 1980, quando vinsi il Concorso Sperimentale "A. Belli", che mi consentì di cantare Marguerite nel Faust di Charles Gounod. Fu un’esperienza bellissima e, in quell’occasione, conobbi Bruno, pure lui vincitore del concorso, che interpretava Valentin. Ci trovammo subito d’accordo e, dopo qualche anno, ci sposammo proprio a Spoleto, con una grande festa, nella quale coinvolgemmo le nostre famiglie, gli amici e alcuni giovani colleghi, i quali furono ben felici di scoprire quella deliziosa città. Il nostro testimone fu Sesto Bruscantini.

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La tua formazione è legata anche al Maestro Bruscantini: qual è il tuo ricordo?
Conobbi Sesto Bruscantini in occasione del Concorso di Spoleto: lui era in commissione e prese  subito a benvolere sia me che Bruno. Da lì cominciammo a seguire i suoi consigli preziosi e, un po’ alla volta, divenne una costante andare una volta al mese a studiare qualche giorno con lui: tecnica, repertorio e interpretazione. Fu un’esperienza altamente costruttiva poiché in diversi anni di frequentazione, ci trasferì la sua miniera di sapienza con grande generosità, umanità, simpatia e affetto. Non potrò mai dimenticare i pomeriggi interi passati insieme a lui a studiare, rifinire e approfondire frase per frase. Bruscantini sapeva condire sempre il tutto con la sua ironia e bonomia cosicché le ore trascorrevano senza ce ne accorgessimo. A inizio carriera eravamo spesso ingaggiati per opere del '700 (di autori quali Pergolesi, Cimarosa, Jommelli, Paisiello): un repertorio che Bruscantini amava molto e di cui conosceva i più sottili e reconditi aspetti. Ricordo quando Bruno fu chiamato dal Teatro di San Carlo per un ruolo buffo molto particolare in napoletano antico (Leporello/Pulcinella in un Don Giovanni di Giacomo Tritto) e lo preparò con il Maestro: fu un autentico divertimento la ricerca della voce adatta per caratterizzare colori e sfumature. Naturalmente il talento di Bruno si prestava perfettamente al personaggio e il successo fu memorabile. Ma abbiamo tanti altri ricordi davvero straordinari, che spesso ripercorriamo insieme. In particolare, abbiamo modo di approfondire tutti gli aspetti nel campo della tecnica vocale, dalla respirazione alla posizione in “maschera” del suono, dall’equilibrio delle vocali alla cura dell’estensione. A Bruscantini stava molto a cuore il tema della tecnica vocale, che aveva analizzato e approfondito con il collega e amico Alfredo Kraus, altro gigante dell’interpretazione lirica nonché allievo della celebre Maestra Mercedes Llopart. Posso quindi ritenermi fortunata per aver goduto di un insegnamento che tramandava la sapienza e la bellezza della Scuola antica: un patrimonio che si rischia di perdere in questi ultimi tempi, davvero bui per la storia del teatro in musica.
E, dopo un periodo di fortunata carriera, hai deciso di dedicarti all’insegnamento della disciplina del canto: una scelta che si è rivelata vincente e foriera di soddisfazioni...
Procedendo nel mio excursus professionale, mi ritrovai ben presto a cantare nei principali teatri italiani: la Scala, il Teatro dell’Opera di Roma, il San Carlo di Napoli, il Maggio Musicale Fiorentino e molti altri. Il repertorio variava dal Barocco al Settecento inoltrato, fino a Rossini e Donizetti. Spesso mi ritrovavo in cast di prestigio e, tra i miei colleghi, quella che ricordo con più affetto è la cara Daniela Dessì, alla cui prematura scomparsa ancora non riusciamo a rassegnarci. Da giovanissime, avevamo trascorso insieme anche delle esperienze di studio in alcune Masterclass sul repertorio da camera con il Maestro Giorgio Favaretto, presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. La Dessì era un’artista meravigliosa e un’amica straordinaria, entusiasta e amante della sua professione, anche se negli ultimi tempi mi raccontava che solo l’amore per il canto la teneva in un ambiente che non riconosceva più.
Da tutte queste esperienze avevo accumulato un notevole bagaglio di conoscenze relative allo studio della vocalità, che poi, negli anni in cui cominciai a dedicarmi alla didattica, mi furono preziose. Proprio la didattica è stata sempre una mia grande passione e forse ho avuto anche il dono di sapermi esprimere in maniera chiara e comprensibile, oltre a quello di una spontanea pazienza nel seguire e guidare gli allievi in uno studio certo non facile. Si parla di impostare una voce lirica: un argomento impalpabile, fatto di sensazioni fisiche e orecchio musicale, dove in primis è importante fare un corretto esempio esecutivo. Mantenere la voce sempre allenata ed in forma è, di conseguenza, indispensabile per un bravo docente. Nelle varie giornate di studio passate con il Maestro Bruscantini, anche ad ascoltare le lezioni di altri, lui spesso diceva «Come ti pare, Sandrina?» (così mi chiamava affettuosamente), coinvolgendomi in un’analisi che mi chiariva, di volta in volta, come distinguere un percorso corretto da uno non giusto.
Dopo ventidue anni di attività come soprano solista, ho iniziato parallelamente la carriera didattica, prima in Conservatorio, poi, pian piano, privatamente o presso Istituti di Alto Perfezionamento (come l’HEMU, Alta Scuola di Musica di Losanna), dove ho avuto di recente il privilegio di tenere un corso intitolato “Atelier Belcanto”. L’attività didattica mi ha assorbito completamente e mi sono costruita una cerchia di allievi selezionati, italiani e stranieri, che con talento, volontà e spirito di sacrificio si affacciano a questo mondo artistico. E le tante gratificanti soddisfazioni avute sinora mi inducono a proseguire con dedizione ed entusiasmo sempre maggiori.

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Qual è il tuo concetto di canto e tecnica vocale? E, soprattutto, da dove si parte per lo studio del canto?
Potrei esprimere un parere sulla relazione che c’è tra Canto e Tecnica vocale. Spesso assistiamo a fenomeni di voci naturali, ricche di armonici e facili nell’emissione, ma senza una conoscenza, ad esempio, dell’appoggio sul fiato. Difficilmente questo dono di natura durerà a lungo: la propensione al canto deve essere approfondita e guidata con sapienza, sia per non sciupare tale dote, sia per mantenere in salute una professione artistica. Con questo voglio dire che, come in qualsiasi arte, non si può prescindere dalla tecnica. Non si può allenare una parte del nostro corpo senza un’adeguata conoscenza scientifica delle possibilità fisiologiche e dei pericoli in cui si può incorrere. Poi, ovviamente, c’è il lato più creativo e squisitamente musicale: l’approfondimento del repertorio adeguato ad ogni cantante (unito alla conoscenza della sua personalità e del suo temperamento artistico) non è certo un aspetto secondario.
Nel tuo approccio con un allievo o un'allieva,  quale “strategia” segui?
Con i miei allievi instauro rapporti di rispetto, educazione, comprensione, sintonia; e anche di amicizia. Ma nel contempo sono abbastanza esigente nel richiedere serietà ed impegno, dato che studiare canto non è stato prescritto dal dottore.
Raccontaci qualche aneddoto della tua vita da insegnante da annoverare nell’Olimpo dei ricordi.
Tra gli episodi più belli nella mia carriera di docente, mi fa piacere menzionare un incontro speciale, avvenuto circa un anno e mezzo fa mentre ero a Ginevra, dove mio marito Bruno de Simone era impegnato in un originalissimo Barbiere di Siviglia di Rossini. Una ragazza sorridente si avvicina dicendomi: «Ti ricordi di me?». Era un giovane mezzosoprano, impegnata come cover di Rosina, che io avevo conosciuto da bambina, essendo la figlia di un noto direttore d’orchestra scomparso circa quindici anni fa. Lui era un nostro caro amico (insieme alla sua splendida famiglia), con cui avevamo molte volte lavorato e passato bellissime esperienze insieme. Ebbene, l’ho riconosciuta subito ed è stata una grande gioia ritrovarla in palcoscenico come artista. Subito mi ha chiesto di studiare un po’ insieme e la sintonia che si è creata tra noi è stata stupenda: ha una voce meravigliosa e insieme abbiamo approfondito aspetti di tecnica vocale molto importanti per il repertorio belcantista in cui si sta affermando. Lei si chiama Marina Viotti ed è già molto apprezzata sul panorama internazionale… ma non credo siano solo coincidenze.
E penso poi a tanti bravi allievi, ottimi elementi che avevano preso strade sbagliate e che io con pazienza ho recuperato e risanato. Oggi sono già avviati in ottime carriere e sempre, o quasi, mi dimostrano riconoscenza e fiducia totale. Ne sono davvero molto orgogliosa. Credo che la meravigliosa cultura musicale che abbiamo ereditato non andrà perduta finché ci saranno bravi giovani di talento, pieni di passione ed entusiasmo.
Prima parlavamo di Bruno de Simone. Cosa vuol dire condividere la vita con un musicista che, oltre ad essere uno dei bassi buffi più accreditati al mondo, è anch’egli un ottimo insegnante. Mi devo immaginare serate a parlare di musica e tecnica vocale oppure il tutto naviga come una nave con il mare in bonaccia?
Chiaramente la Musica è stata ed è sempre presente nella nostra vita, ma (pur provenendo dalla stessa scuola e avendo una concezione del canto e della vocalità praticamente identica) viene colta con sensibilità diverse.  Abbiamo studiato insieme, approfondito e anche discusso costruttivamente innumerevoli volte.
Come tu asserisci, anche Bruno è un ottimo docente, compatibilmente con i suoi impegni artistici, ancora numerosi dopo trentanove anni di carriera. Lui predilige approfondire tematiche interpretative, studio del testo e cura del personaggio, mentre io mi sono occupata prevalentemente di tecnica e impostazione, individuazione del repertorio e dello stile adeguato. Siamo complementari e al tempo stesso autonomi. Detto questo, in tanti anni di vita insieme (fatti di esperienze teatrali e musicali), molti sono stati i momenti di sacrificio e le delusioni, ma anche di puro divertimento e grandi soddisfazioni… insomma non ci siamo mai annoiati e questo è l’aspetto più importante.
Ti parlo in veste di critico musicale: spesso noto qualche stridore sui palcoscenici da un punto di vista vocale. Cosa pensi tu delle scelte dei teatri italiani di oggi?
Si riscontra spesso un’inadeguata attenzione all’impiego dei giovani interpreti che talvolta sono esposti prematuramente a sostenere ruoli per cui non sono ancora adatti, con evidenti rischi. Oppure, al contrario, vedo giovani artisti di talento soffrire in zona di parcheggio, a vantaggio di mediocri interpreti che hanno più possibilità di esibirsi, con effetti certo poco entusiasmanti.
E all’estero? Ci sono differenze?
Girando nei vari Teatri europei ho riscontrato spesso la presenza di giovani artisti, di grandi e medie qualità, con responsabilità anche di direzione d’orchestra o messa in scena, e non faccio nomi per non fare torti, ma le scelte sono molto più attente e meno clientelari.
Visto che mi tocca personalmente, cosa ne pensi tu del modo della critica musicale, ora che non ti riguarda da vicino come artista?
A volte è davvero interessante leggere un articolo di critica colto e obiettivo che, rispettando la cronaca, dia anche giudizi che possano ampliare i punti di vista, oltre a stimolare giuste considerazioni e riflessioni interessanti. Purtroppo non sempre è così. Credo che le forze culturali competenti dovrebbero unirsi per stimolare una maggior attenzione da parte di amministratori e  politici per far sì che emergano le migliori risorse ed energie. Invece assistiamo spesso a un lassismo generale, che intorpidisce e annulla la capacità di reazione. Anche il pubblico talvolta si sorbisce certi spettacoli malfatti, scadenti, come se non si potesse proporre di meglio: assurdo. E in questo anche i critici giocano un ruolo chiave, potendo puntare i riflettori su ciò che è bello e interessante, ma anche su ciò che andrebbe cambiato a partire dai criteri di scelta di alcune direzioni artistiche.
Non solo canto e non solo musica… ho avuto il piacere di sperimentare più volte la tua ottima cucina. Visto che ti diletti con pentole e padelle, parlaci di questo aspetto molto “gustoso” della tua vita.

È vero, l’altra attività che mi affascina è l'arte della cucina: niente è più divertente e stimolante che preparare una cena per gli amici, inventando, sperimentando e creando delizie per il palato. Mi onoro di far parte del Club Il Fornello d’Italia, un’associazione culturale che si occupa di fare cucina di ricerca tra antiche tradizioni e attualità e che si trova in quasi tutte le città d’Italia. Siamo amiche e ci riuniamo periodicamente per esprimere con sapienza la nostra passione gastronomica. Tra i musicisti poi, si sa, ci sono stati grandi gourmet. Basta pensare Gioachino Rossini, fulgido esempio di genialità musicale e di passione per la buona cucina. Tra le sue frasi più note, una mi è rimasta impressa: “Quant’è spossante la celebrità! Beati i pizzicagnoli!” D’altronde, non per farci complimenti reciproci, ma anche tu sei uno chef di tutto rispetto!

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Ebbene sì, anch’io mi diletto con i fornelli, ma oggi, uggiosa giornata di gennaio, dopo la nostra piacevole chiacchierata “mi toccherà” sedermi a tavola con Alessandra e Bruno ed assaporare alcune gustose specialità veronesi  frutto dell’amore per il cibo della mia “ospite sulla carta”.
È sempre un piacere dialogare con Alessandra Rossi de Simone perché ogni sua parola ha il gusto della misura e, nel raccontare le sue esperienze di docenza, trasmette grande serenità e, al contempo, un sentimento di crescita intellettuale. Tante altre cose sono emerse nel corso della conversazione, ma questa è un’altra storia che rimarrà nei rispettivi ricordi.

Crediti fotografici: Archivio personale dell'Artista e foto di Simone Tomei
Nella miniatura in alto: il soprano Alessandra Rossi de Simone
Sotto, in sequenza: la Rossi con il marito Bruno de Simone, con la sua allieva Marina Viotti e con il nostro critico musicale Simone Tomei
Al centro, in sequenza, quattro personaggi della Rossi: Cleopatra nel "Giulio Cesare" di Händel; Donna Anna in "Il Convitato di Pietra" di Tritto; la Contessa in "Le nozze di Figaro" di Mozart; Zerlina in "Fra' Diavolo" di Auber
In fondo: Alessandra Rossi con alcuni degli allievi della Scuola di Lausanne HEMU e il M° Todd Camburn, responsabile del dipartimento di Canto






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Un Barbiere un po' cosė...
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20240113_Lu_00_IlBarbiereDiSiviglia_GurgenBaveyan_PhotoKiwiLUCCA - Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini si veste di attualità, attraverso una lettura piuttosto singolare, ma non del tutto dissonante dalle intenzioni musicali e librettistiche, nell’allestimento andato in scena al Teatro del Giglio di Lucca con la firma registica di Luigi De Angelis che ha curato anche scene e luci. In un condominio stile Le Courboisier
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Opera dal Nord-Est
La Bohčme dei ponteggi
servizio di Athos Tromboni FREE

20240113_Ro_00_LaBoheme_FrancescoRosa_phValentinaZanagaROVIGO - Una Bohème senza lode e senza infamia. Così potrebbe definirsi l'allestimento dell'opera di Giacomo Puccini andata in scena al Teatro Sociale. Si tratta di una coproduzione del teatro di Rovigo con il Comune di Padova e il teatro "Mario Del Monaco" di Treviso. Una produzione tutta veneta, considerando la bacchetta affidata a Francesco Rosa
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