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Ripresa con successo la regia di Davide Livermoore pensata per l'opera giovanile di Rossini

Demetrio e Polibio e il proprio doppio

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 19 Agosto 2019

190819_Ps_00_DemetrioEPolibio_JessicaPrattPESARO - E' molto particolare la genesi compositiva del Demetrio e Polibio di Gioachino Rossini rappresentando un caso piuttosto singolare nella storia del Teatro d'opera italiano; il lavoro fu commissionato da Domenico Mombelli (compositore e tenore) a pro della sua scuderia di cantanti composta dalle due figlie (Ester ed Anna), dal maggiordomo di casa (Ludovico Ulivieri) nonchè dalla moglie Vincenzina Viganò Mombelli (sorella del celebre coreografo Salvatore Viganò) che fu autrice del libretto. Fu lo stesso Mombelli a capire che il ragazzo (alias Gioachino) aveva della stoffa del compositore, e la commissione dell'opera avvenne già nel 1806, ma di fatto la prima rappresentazione risale al 18 maggio del 1812 al Teatro Valle di Roma, rappresentazione orfana della presenza fisica del compositore.
La ripartizione dei ruoli rientra nella tradizione classica, che vuole il contralto en travesti (Anna Mombelli, Demetrio/Siveno) nel ruolo di amoroso (un tempo predominio degli evirati cantori), il tenore (Domenico Mombelli, Demetrio/Eumene) antagonista del contralto e la prima donna (Ester Mombelli, Lisinga) soprano. Il successo romano coronato dalle cronache del tempo parlava di una musica “che accarezzava l’orecchio” e di una superba interpretazione delle due protagoniste.
Non finì qui il successo di questa primordiale composizione rossiniana; l'anno successivo fu la volta di Milano e Como per poi approdare a Firenze e Venezia. Letterati e poeti ebbero modo di godere di questo componimento di cui  magnificavano la semplicità musicale atta a mettere in primo piano il canto unitamente alle eccellenti voci delle due interpreti. Il Berchet ascoltò Demetrio e Polibio al Carcano di Milano nel 1813 e ne fece un’analisi minuziosa, mettendo in luce un aspetto innovativo del giovane Rossini: il carattere prettamente "italiano" della musica, la semplicità degli accompagnamenti, il parco uso delle fioriture e il riferirsi ai compositori passati ... rispettandone l’ombre senza seguirle servilmente, si aprì una via alla gloria.
Anche Stendhal che vide l’opera a Como nel 1813, non mancò d’annotarla nel suo diario, sottolineandone la purezza del canto e la soavità delle melodie arrivando ad asserire che il quartetto Donami omai, Siveno è uno dei capolavori del Cigno pesarese (quartetto del quale è stata reperita recentemente una fonte autografa curata dalla revisione di Daniele Carini in collaborazione con Casa Ricordi).
La produzione riproposta al ROF 2019 nasce nel 2010 ad opera di Davide Livermoore in qualità di regista (quest'anno ripresa da Alessandra Premoli) a quel tempo chiamato per il suo debutto pesarese; accanto al regista, per le scene ed i costumi l'Accademia di belle arti di Urbino; ed alle luci Nicolas Bovey.

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Livermoore non si è fatto spaventare dall'inconsistenza di un libretto che viene anche così apostrofato: «... La pecca principale non risiede nella fattura dei versi, ma nell’essere un testo ancorato ai lati più deteriori della tradizione settecentesca: quindi fatuità della storia, complessità dell’intreccio nel quale si susseguono, senza posa, agnizioni, rapimenti, ritrovamenti. I momenti musicali del dramma sono svolti quali puri e semplici "affetti" avulsi dallo svolgimento della storia; una serie di luoghi comuni riscattati però dalla musica e dal canto.»
Egli inventa e risolve con un approccio semplice e collaudato: quello del teatro nel teatro. Durante la sinfonia siamo nel retropalco di un teatro alla fine di una rappresentazione di balletto, dove tecnici, maestranze e vigili del fuoco si assicurano che tutto sia al proprio posto. Nel mentre fra gli attrezzi e le scenografie "a riposo" sbucano, ovviamente invisibili ai lavoratori, i personaggi protagonisti “dell’opera vera" che si andrà a rappresentatre (Demetrio e Polibio). Ognuno dei quattro personaggi del dramma serio ha il suo doppio (mimo) e tutti si muovono e cantano tra abiti di scena che mano mano scendono dal soffitto, bauli, specchi, candelabri e attrezzeria varia, per dipanare la confusa e confusionaria storia (incendio compreso) dei due amanti ostacolati dai malintesi dei loro rispettivi padri.
Il muoversi tra personaggi principali e doppi, fa sì che tutto fluisca in un vortice di tenace concitazione lasciando il dovuto spazio ai momenti più lirici e meditativi in cui la composizione rossiniana va a planare. Una regia che sfrutta la debolezza di un libretto a proprio favore mettendo in luce un meta-teatro di grandissimo fascino. Fra doppi, momenti di magia con oggetti sospesi in aria e quella visione d'insieme dal sapore fiabesco di un tempo che fu, sembra di vivere in una favola dove la percezione del reale e dell'immaginifico corre sempre sul filo del rasoio. Uno spettacolo azzeccato.
Queste elasticità e fluidità di palcoscenico hanno maggiormente latitato in buca in relazione alla scelta di taluni tempi da parte del M° Paolo Arrivabeni; pur adottando dinamiche sempre rispettose delle voci, l'andamento drammaturgico si è perso in un incedere piuttosto melenso e privo di quel brio necessario ad innescarsi amabilmente con quanto succedeva un paio di metri sopra la testa degli orchestrali. Fra il carattere melanconico e quello più incline all'esagitazione, l'ago della bilancia ha virato nella direzione favorevole al primo, ma ho notato un certo margine di miglioramento nella ripresa.
Eccellente la Lisinga di Jessica Pratt, protagonista di acuti e sovracuti sonori e squillanti e grazie alla nitidezza della sua vocalità viene esaltata una dote di grande fraseggio e nobiltà di emissione, con un suono sempre ben a fuoco costruito su di una solida tecnica.
Il Demetrio/Siveno trova in Cecilia Molinari un'eccellente interprete che sa trovare con gusto ed eleganza il connubio idilliaco tra parola e musica; mai un accento fuori posto, morbida nel condurre la frase musicale verso quell'atmosfera elegiaca che il compositore le ha riservato; Perdon ti chiedo o padre (nel duetto con Siveno) odora del sapore trascolorato di una suadente soavità.
L'esperienza professionale di Juan Francisco Gatell ha saputo conferire a Demetrio/Eumene la nobile preziosità del ruolo sapendo conferire ficcanti e sicuri accenti dentro una parola scenica perfettamente nitida e cristallina.
Elegante e fiero anche il Polibio del basso Riccardo Fassi nella sua prima apparizione al Festival pesarese; Fassi ha mostrato timbro robusto e saldo, facilmente adattabile alle esigenze talvolta dolci e nobili della partitura.

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Bene nei suoi interventi il Coro del Teatro della Fortuna (nella sola composizione maschile) diretto dal M° Mirca Rosciani. Grande calore da parte di tutto il pubblico del ROF che gremiva il Teatro Rossini di Pesaro.
(La recensione di riferisce alla recita del 18 agosto 2019)

Crediti fotografici: Ufficio stampa Rossini Opera Festival di Pesaro
Nella miniatura in alto: Jessica Pratt (Lisinga) grande protagonista
Al centro:
concertato con Riccado Fassi (Polibio), Jessica Pratt (Lisinga), Cecilia Molinari (Demetrio/Siveno) e Juan Francisco Gatell (Demetrio/Eumene)
Sotto: panoramica sui costumi realizzati dall'Accademia di belle arti di Urbino






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