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Č ritornato a Busseto lo spettacolo progettato e realizzato da Franco Zeffirelli nel 2001 |
Aidina dal successo replicante |
servizio di Athos Tromboni |
Pubblicato il 28 Settembre 2019 |
BUSSETO (PR) - Il Teatro Verdi è un teatro piccolo piccolo e l’Aida è un’operona grande grande. Ebbene è dal 2001 – anno centenario della morte di Giuseppe Verdi – che l’operona grande grande dentro il teatro piccolo piccolo fa parlare di sé. Fu progettata da Franco Zeffirelli per quell’anno centenario e nel tempo ha girato sui palcoscenici non solo italiani, confermandosi uno spettacolo che toglie sì per esigenze di spazio, i balletti e la scena del trionfo di Radames, ma ciò non inficia minimamente la bellezza della messinscena. Così, preceduta da tanta fama, l’operona grande grande è ritornata nel teatro piccolo piccolo, a Busseto, per il Festival Verdi con la regia di Zeffirelli ripresa da Stefano Trespidi, i costumi di Anna Anni ripresi da Lorena Marin, le scene originali del regista fiorentino oggi scomparso, le luci di Fiammetta Baldisserri e le coreografie di Luc Bouy, bravo creatore di quei cenni di balletto che non sono stati espunti e preludono alla scena del trionfo; ma nessuno si è rammaricato per l’assenza del trionfo, anche perché si è conservato il famoso squillo delle buccine suonate in scena; nessun rimpianto, dunque, per la il ripiegamento cameristico della magniloquenza spettacolare, punto forte dell’Aidona quando è possibile allestirla in un palcoscenico capiente. Allora, visto l’esito trionfale della recita di venerdì 27 settembre 2019 nel teatro piccolo piccolo, bisogna ammettere che il Festival Verdi ha colto due obiettivi importanti e condivisibili: proporre un allestimento storico e fedele all’ambientazione come descritto nel libretto, che le regie d’oggi stanno rendendo sempre più una rarità; e porgere l’estremo omaggio a Franco Zeffirelli nel terzo trigesimo della scomparsa. Anche perché a buon ragione trattasi di una “Aidina dal successo replicante”, come ha chiosato uno spettatore nel foyer del teatro di Busseto durante l’intervallo. Bisogna ringraziare il regista Trespidi che ha fatto un lavoro di “restauro” molto rispettoso della volontà zeffirelliana, prendendosi qualche libertà interpretativa non banale rispetto al “film” originale; anzi arricchente, come quando fa scoccare un bacio sulla bocca dato da Radames ad Amneris nel primo atto (pertinente: qui la figlia del faraone avanza dubbi e sospetti sui sentimenti d’amore del condottiero verso la schiava Aida: e cosa c’è meglio d’un bacio, meglio ancora se appassionato, per dissipare dubbi e sospetti?) e nel terzo atto, l’altro bacio sulle labbra, quando Amneris si offre per tentare di salvarlo dalla condanna a morte: ma non sembra il tradimento dell’amore verso Aida, quanto piuttosto un gesto di riconoscenza verso Amneris. La recitazione degli interpreti è molto curata dal regista, dalla cerea immobilità del Re, alle movenze spaventate e timorose di Aida; dalla baldanza di Radames trionfatore, alla dignità ferrea e nobile di Amonasro; dalla ieraticità e furia di Ramfis, alla realistica gelosia e pentimento di Amneris. Insomma, una regia fedele all’originale e molto curata in quei particolari che – anche in caso di ripresa fotocopia – non possono che appartenere all’originale perché sono volatili nel momento stesso in cui vengono agiti. Bravo Trespidi.
Per la “prima” bussetana era stata chiamata Maria Teresa Leva, per Aida, in sostituzione delle titolari annunciate precedentemente (che canteranno comunque nelle repliche): mossa azzeccata, perché la Leva ha vissuto il ruolo da artista sensibile e ben preparata. Vocalmente è una potenza quando rinforza il canto per sovrastare, negli assieme, il coro e l’orchestra; ma anche nei momenti in cui la morbidezza del canto in maschera, il “fil di soffio etesio”, deve avere il sopravvento sull’impennata, lei ha saputo farsi valere. Poi è una attrice formidabile; soprattutto la mimica, più che il gesto, fanno di lei l’eroina ideale per ruoli dove la sofferenza sentimentale faccia il paio col problema esistenziale. Ottimo il tenore coreano Bumjoo Lee nel ruolo di Radames; ha interpretato con baldanza, come si diceva, dando uno spessore pregnante al personaggio, onorandolo con un canto sempre ben proiettato e soprattutto gradito a chi si entusiasma elle esibizioni del tenore spinto: così Lee ha accontentato i più tradizionali melomani eseguendo imperiosamente il Si bemolle acuto di “Un trono vicino al sol”, risolto con uno squillo perentorio e una corona lunghissima. Ed è stato quasi osannato dal pubblico.
Voce potente, ma non sempre intonata, quella del mezzosoprano Daria Chernii (Amneris) che comunque si fa applaudire per una notevole prestanza scenica – gesto, mimica, atteggiamenti, tempismo - da scaltra professionista. Eccellente l’interpretazione di Ramfis da parte di Dangho Kim, un basso dal timbro chiaro, da ruoli di basso-cantante, capace di una bella dizione italiana e molto disinvolto nella recitazione. Bella prova anche di Andrea Borghini (Amonasro) che vocalmente e scenicamente ha dimostrato di avere il physique du rôle per i personaggi del cattivo e/o antagonista (Scarpia, Rigoletto, Amonasro, Conte di Luna). Nella parte del Re, ha ben figurato il cinese Renzo Ran, timbro scuro e profondo, voce potente. Completavano il cast un ottimo Manuel Rodríguez (il tenore che ha fatto il Messaggero) e l’altrettanto ottima Chiara Mogini (Una sacerdotessa, soprano), allievi dell’Accademia Verdiana del Teatro Regio di Parma, selezionati per il debutto a Busseto. Sul podio della brava e affidabile Orchestra del Teatro Comunale di Bologna ha debuttato “in casa” (è parmigiano) il direttore Michelangelo Mazza. Ha diretto tutta la recita mimando il canto, intanto che dava l’attacco ai cantanti e al coro. Il suo gesto è ampio, più essenziale che spettacolare, e non trascura di rivolgere sguardi e ammiccamenti alle sezioni dell’orchestra, nei momenti in cui lo strumentale è preludio o postludio al canto. Mazza ha saputo mantenere un equilibrio dinamico pregevole fra buca e palcoscenico tanto che mai i fortissimi, pur eseguiti da fortissimi, hanno coperto o inficiato il canto dei solisti. Poi, con una concertazione attenta ai momenti intimi e struggenti dell’opera, ha tratto dall’Aidona uno spessore cameristico che era congruente con il luogo in cui prendeva corpo la recita; la lo aveva dichiarato nell’intervista riportata nel programma di sala: «Ho sempre ritenuto che l’interpretazione comune di Aida sia troppo incentrata sull’idea del trionfo, della dimensione guerresca, mentre a me preme far risaltare il dramma psicologico»; detto e fatto. Con effetti di grande godibilità, in chi ha ascoltato. Elogio infine anche per il coro del Teatro Comunale di Bologna, ben istruito e guidato da Alberto Malazzi. I 250 posti del Teatro di Busseto erano tutti occupati. E il pubblico, a fine recita, non ha lesinato applausi e ovazioni a tutto il cast. Repliche il 30 settembre; e il 4, 6, 9, 10, 13, 16, 18 e 20 ottobre. (La recensione si riferisce alla recita di venerdì 27 settembre 2019).
Crediti fotografici: Roberto Ricci per il Teatro Verdi di Busseto e Teatro Regio di Parma Nella miniatura in alto: la protagonista Maria Teresa Leva (Aida) Sotto in sequenza: Daria Chernii (Amneris); Dongho Kim (Ramfis); Bumjoo Lee (Radames); Renzo Ran (il Re); ancora Daria Chernii con Maria Teresa Leva; Andrea Borghini (Amonasro) Al centro: una bella istantanea di Roberto Ricci sul balletto realizzato da Luc Bouy Sotto: l’intensa sofferenza di Aida nella mimica di Maria Teresa Leva In fondo: panoramica su scene e costumi della cosiddetta “Aidina” di Franco Zeffirelli
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