PARMA - Da tempo avevo manifestato il desiderio di incontrare Vladimir Stoyanov e galeotto è stato il Festival Verdi 2019 a Parma, dove il baritono bulgaro è impegnato come Francesco Foscari ne I due Foscari (qui la recensione della “prima”). Assieme alla mia amica e collega Angela Bosetto, ho confezionato per voi questo “racconto” dell’artista, uomo, padre, fratello e amico, nella speranza di regalarvi una piacevole lettura.
La Bulgaria è una terra di grandi voci operistiche, da Boris Christoff e Nicolaj Ghiaurov a Rajna Kabaivanska e Ghena Dimitrova. Sapevi fin da piccolo che la lirica sarebbe stata il tuo destino oppure no?
Di me bambino, posso dirti che sono nato a Pernik (città di minatori vicino a Sofia) in una famiglia umile, dove ci si guadagnava da vivere onestamente e con fatica. Papà era laureato in legge, mamma faceva l’infermiera e ho un fratello più piccolo. Ho avuto nonni meravigliosi e sono stato un bimbo felice, cresciuto in un’atmosfera amorevole. Giocavo in strada a palla e a nascondino con gli amici del quartiere, correvamo tanto. A volte si litigava, facevamo a botte… e spesso anche le prendevo. Insomma un’infanzia semplice e spensierata, passata a contatto con la natura. Sognavamo! C’erano molta fiducia e speranza nel futuro.
La Bulgaria di quell’epoca aveva una scuola vocale molto importante, capeggiata dal baritono e insegnante Hristo Brumbarov. Molti furono i suoi allievi, dai già citati Ghiaurov e Dimitrova al mio maestro: Nikola Ghiuselev. In casa Stoyanov non c’erano musicisti professionisti, ma alla radio e in tv si sentivano spesso le opere italiane. Il regime era molto attento allo studio della musica classica e già alle elementari c’era una propedeutica musicale. Tutti i bambini, se non facevano sport, suonavano uno strumento, cantavano nei cori o ballavano.
Quando hai incontrato la musica e quale è stato il tuo primo approccio con il canto? Un amore a prima vista oppure no?
Per me fu un colpo di fulmine, proprio quando ero ancora un bambino. In televisione trasmisero Ernani di Giuseppe Verdi con il grande Piero Cappuccilli nei panni di Carlo V: chi se lo dimentica più! Ricordo ancor oggi la grande scena in cui Cappuccilli è inginocchiato davanti alla statua di Carlo Magno a cavallo. Era magnifico!
Dal punto di vista pratico, invece, la prima esperienza vocale fu nel coro dei bambini della mia città natale. Cantare e fare musica mi piaceva sin da piccolo.
Sotto la guida del grande basso Ghiuselev, sei passato dall’Accademia Nazionale di Musica "Pancho Vladigerov" di Sofia all’Accademia Bulgara delle Arti “Boris Christoff” (Roma) e quindi all’Accademia della Scala.
Mi sono diplomato all’Accademia Nazionale di Sofia con un percorso di studi ordinario, proprio come tanti altri ragazzi. Un giorno, per puro caso, venni a sapere di un’audizione con il M° Ghiuselev. All’epoca, devi sapere, che i cantanti del suo calibro (molto rispettati, se non venerati) erano praticamente inavvicinabili. Spesso nemmeno vivevano in Bulgaria perché erano molto richiesti dai teatri e sempre in giro per il mondo. Non esistevano i social network e non si potevano accorciare le distanze con una semplice chat.
Inizialmente non pensavo nemmeno di presentarmi all’audizione, ma dopo averne parlato a casa con i miei (soprattutto con mia madre, la mia prima fan) decisi di partecipare. In audizione portai la scena completa della “Morte di Rodrigo” dal Don Carlo di Verdi. Cantai davanti a una commissione di circa una decina membri e, alla fine dell’esecuzione, uno di loro mi chiese: “Ragazzo, cos’altro potresti cantare per noi?” A questa domanda, Ghiuselev si alzò e disse: “Dopo un quarto d’ora di musica cantata così bene e conoscendo le difficoltà che la parte richiede, non vedo di quali altre prove dovremmo aver bisogno da questo ragazzo. Per me è bravo.” Nessuno replicò.
Quel “bravo” mi risuonò nella testa a lungo. Tornai a casa senza conoscere il risultato dell’audizione, ma mi bastava quell’attestato di stima per essere felice! Volavo a un metro da terra. Poi, arrivò anche la telefonata che mi annunciava la vittoria della borsa di studio “Boris Christoff” a Roma.
Il lavoro con Ghiuselev fu costante e faticoso. Nikola era un perfezionista, un esteta e un grande uomo di teatro, ma soprattutto un grande conoscitore della voce. Passavamo tanto tempo studiando la tecnica vocale. In questa fase dello studio non mi era permesso interpretare il personaggio, ma si lavorava sul fiato, sulla produzione del suono, sul rilassamento dei muscoli della gola e del corpo. Poi, solo in un secondo momento, si poteva parlare dell’interpretazione del ruolo e del libretto. Il Maestro era un vero alchimista di belcanto.
La Bulgaria come appoggia e/o sostiene i propri artisti?
In questo senso posso dire di conoscere più l’Italia che la Bulgaria, perché, subito dopo il percorso di studi compiuti con Ghiuselev, passai all’Accademia della Scala, dove il corso ere tenuto dalla Signora Magda Olivero, di cui nutro una stima immensa. Anche in questo caso parliamo di un’Artista e una donna elegantissima, sensibile e sobria, che ha lasciato un segno indelebile nella storia della lirica.
In seguito ho iniziato a fare audizioni e a lavorare anche all’estero.
Raccontaci le emozioni dei tuoi debutti in patria (Don Carlos a Sofia, 1996) e in Italia (Macbeth al San Carlo di Napoli, 1998).
È difficile per me spiegare a parole le emozioni vissute in queste occasioni. Il Marchese di Posa è un personaggio che mi affascina e commuove sempre. È stata la prima opera che ho cantato per intero di fronte ad un pubblico, in teatro. Certamente mi sono sentito molto incoraggiato dall’esito positivo di questo debutto (studiato minuziosamente e preparato a lungo), ma non ho “abbassato la guardia” ed ho continuato a studiare col mio maestro.
Macbeth a Napoli, invece, giunse inaspettato, in sostituzione di un collega. Sarò per sempre grato a Francesco Canessa (ex Sovrintendente del San Carlo di Napoli), che mi sentì in un’audizione ed ebbe fiducia in me, permettendomi di farmi conoscere dal pubblico napoletano.
Qual è il ruolo che ami di più?
Tra Rigoletto e Macbeth la lotta è dura….
E quello che ti fa più timore?
Penso che i timori debbano essere dissipati nella fase di studio della parte, altrimenti significa che non si è riusciti a dominare tecnicamente quel determinato ruolo e, di conseguenza, sarebbe meglio non metterlo in repertorio.
Nella tua lunga carriera quale esperienza porterai sempre nel cuore e perché?
Caro Simone, i momenti magici sono tantissimi. Nel baule dei ricordi metto sicuramente certe serate al Teatro Regio di Parma. Ad esempio, quella dell’anno scorso in cui sono stato insignito del premio “Tatiana Pavlova” dopo la prima di Attila: per me è stato un grande onore. Oppure, sempre al Festival Verdi, il Ballo in maschera del 2011, il Macbeth del 2018 o le Traviate del 2003 e del 2007. Ma potrei dire anche l’inaugurazione del Festival Lirico 2011 all’Arena di Verona sempre con La traviata, il recente Iago al festival di Baden Baden con Zubin Mehta, il debutto in Rigoletto con Bruno Bartoletti, Lucia di Lammermoor al Metropolitan, Macbeth a Berlino, La traviata al San Carlo… Come vedi, sono tante le esperienze indimenticabili.
Finalmente è giunto per te il tanto atteso Francesco Foscari. Come ti sei approcciato al personaggio e, più in generale, come affronti lo studio di un nuovo ruolo?
Posso dire di averlo desiderato a lungo. Francesco Foscari è un ruolo complesso: fa parte del primo Verdi e la tessitura è acuta. Diciamo che è un’opera difficile per tutti i protagonisti dal punto di vista vocale.
Sul personaggio ho letto molto: Francesco Foscari è stato il Doge più longevo nella storia di Venezia, ma il destino gli strappò tutti i figli. Ne aveva quattro e, quando anche il penultimo, Domenico, morì di peste, riversò tutto il suo affetto su Jacopo, il più giovane. Purtroppo il ragazzo venne processato dal Consiglio dei Dieci per gravissime accuse (tra cui collusione con principi stranieri e frode), che non solo lo avrebbero portato all’esilio e alla morte, ma avrebbero fatto morire di crepacuore anche il padre. Una storia terribile per qualsiasi genitore: una catastrofe famigliare.
Per quanto concerne lo studio di un ruolo nuovo, in linea di massima suddivido il processo in due fasi. La prima è “solitaria”, ossia, mi metto da solo al pianoforte, cercando di mettere in gola tutta la tessitura che la parte richiede. Poi, in un secondo momento, mi dedico allo studio con il pianista. Prima di prendere un impegno bisogna provare a cantare il ruolo diverse volte per avere le idee molto chiare.
Cosa ti accomuna a Francesco Foscari e cosa ti differenzia dal personaggio?
Mi accomuna sicuramente l’essere un papà! Vedere soffrire i propri figli è straziante: non lo augurerei a nessuno. Da Francesco Foscari mi differenzia il fatto di non essere un uomo di potere, né di politica.
Da genitore, come vivi il terribile conflitto di un protagonista che è “prence e padre”?
Pur essendo un Doge, Francesco si sente impotente di fronte alla decisione del Consiglio dei Dieci: nel corso dell’opera combatte con questa frustrazione e soffre terribilmente. Lo si capisce molto bene già nel duetto iniziale con Lucrezia, quando lei lo accusa di non aver fatto nulla per difendere il figlio: “Oltre ogni umano credere è questo cor’ piagato…ogni mio ben darei, perché innocente e libero fosse mio figlio ancor!” Questo per citare solo uno dei vari momenti strazianti che mostrano il dramma interiore di Francesco.
Cosa ti piace fare nel tempo libero?
Stare con mio figlio, dedicarmi a cose semplici, studiare e magari fare dei vocalizzi, che servono a “ripulire” la tecnica vocale. Mi piace inoltre leggere testi di filosofia e storia: mi incuriosiscono le antiche civiltà come quelle di Greci, Traci, Sumeri e Romani. Credo che dal passato si possa imparare molto.
Che rapporto hai con la critica musicale?
Parto dal presupposto che ognuno di noi cantanti si impegna al massimo nel momento in cui si trova ad interpretare un ruolo in uno spettacolo dal vivo. Voler piacere agli altri è normale e fa parte della natura umana, ma non si può piacere a tutti e ne sono consapevole.
E con i colleghi?
Mi piace stare in teatro. Fra colleghi condividiamo la stessa sorte, nel bene e nel male.
A livello teatrale hai mai avuto qualche esperienza “particolare” con un allestimento altrettanto “particolare”?
Sinora, la più particolare per me resta senz’ombra di dubbio La dama di picche di Pëtr Čajkovskij, allestita per la prima volta ad Amsterdam nel 2016. Interpretavo il principe Eleckij, ma, per volontà del regista Stefan Herheim, da coprotagonista divenni il personaggio principale dell’opera, che, praticamente, era una specie di attore del cinema muto.
Dove potremo ascoltarti in futuro?
Dopo Parma, sarò Papà Germont nella Traviata alla Fenice di Venezia, poi Ernesto nel Pirata di Vincenzo Bellini al Teatro Real di Madrid. Inizierò il 2020 nei panni di Ford al Teatro Municipale di Piacenza grazie a una nuova produzione di Falstaff che andrà in scena anche a Modena e a Reggio Emilia.
Il pubblico conosce bene il baritono Stoyanov, ma chi è Vladimir l’uomo?
Vladimir è figlio, marito, padre, fratello e amico. Mi piace trascorrere una vita semplice e tranquilla, per quanto possibile. Ho delle ansie per il futuro dell’umanità, soprattutto per quello di mio figlio e dei giovani in generale. Queste paure riguardano i cambiamenti climatici, lo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento, ma mi preoccupa anche il calo demografico in Europa, benché speri tanto di diventare nonno un giorno!
Penso che l’Occidente stia vivendo una forte crisi etica e di valori e anche il mondo dell’opera ne sta risentendo. Mi è capitato di conoscere persone alle quali raccontavo di essere un cantante lirico, ma che, dopo circa un quarto d’ora di conversazione, mi chiedevano incuriosite: “Si, ma in concreto di cosa si occupa?”
Per quanto mi riguarda, non penso di avere nulla di eclatante da raccontare: non sono un influencer, non ho milioni di followers e nemmeno ci tengo. Provo piuttosto una profonda ammirazione per chi svolge mestieri in cui ogni giorno si salvano decine di vite umane (come il medico, il chirurgo o l’infermiere) o si rischia la morte (ad esempio il pompiere o il pilota).
È stata la musica a scegliermi in un certo senso. Ho avuto un percorso normale, con le rinunce e i sacrifici che penso siano necessari per la buona riuscita di ogni mestiere. Riguardo al canto, non ho mai pensato e non penso di avere la verità in mano. Si studia e si lavora quotidianamente, poi si vedrà. Se credi di sapere tutto, puoi compromettere la tua crescita spirituale ed artistica. Per non parlare del fatto che, nel canto, basta un banale raffreddore per metterti k.o… Sono grato a Dio per mantenermi in buona salute (la base di tutto perché se viene a mancare sono guai!) e prego sempre per quella dei miei cari.
Alla fine sono soddisfatto della persona che ho scelto di essere.
Anche noi siamo appagati da questo incontro, che ci ha permesso di conoscere più da vicino uno dei baritoni più acclamati nei Teatri di tutto il mondo, e lo concludiamo augurando a Vladimir Stoyanov le migliori soddisfazioni umane e artistiche.
Credit fotografici: Archivio personale di Vladimir Stoyanov